A Beccacce con Cesare
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Quando penso alla mia vita da Cacciatore, ai miei quarant’anni e più di licenza di caccia, i primi ricordi che affiorano nella mente sono quelli di mio padre, dei miei cani con le loro ferme… i riporti… i dispetti… le tante e bellissime giornate trascorse insieme immersi nella pace della natura… i grandi e piccoli carnieri… le prede più scaltre… i tiri più difficili e impossibili… e quelli più facili sbagliati… le sudate… le bagnate… le scarpinate… le notti insonni… le alzatacce… e gli Amici… quelli di Caccia ancora più rari di quelli di Vita.
Cesare è stato il mio primo e grande Amico di Caccia e non solo. Bei tempi, allora giovani spensierati e la nostra grande passione: la Caccia.
L’intesa era nata subito, reciproca e spontanea, tutt’e due prediligevamo soprattutto la caccia vagante con il cane da ferma, ma Lui, gran tiratore a volo, a differenza mia era rapito dalla posta al Tordo dove però non riuscì mai a coinvolgermi.
Lilla, splendida kurzhaar, era la sua cagna e Snoopy, “misto” tra cocker e epagneul breton, era il mio.
Cesare, mancino, sparava con il semiautomatico “destro” Franchi Cadet cal.12, io con il Breda Risciò cal.20.
Allora pochi fronzoli, di tecnico c’era ben poco, niente beeper, solo campano. Anche il pedigree era un’utopia e per l’abbigliamento ci si attrezzava alla meglio con il pantalone di fustagno, la vecchia cacciatora in velluto a coste e gli stivali di gomma, ma ci si bagnava sempre, che piovesse oppure no, bastavano solo le brinate intense di ottobre e novembre, figurarsi quando arrivavano le piogge.
Uno dei pochi must per il Cacciatore erano i suoi stivali con i lacci della Superga, in caucciù, ricordo perfettamente.
Il mezzo di trasporto, di sua proprietà, non era il suv ma la Diane 400 Citroen, il primo modello a tre marce anche decapottabile, mitica, con la quale ci si avventurava nelle nostre giornate di Caccia.
In attesa delle prime Beccacce si iniziava con la Pernice e la Lepre, l’apertura cadeva a fine Settembre, poi chiusa la stagione, sempre breve in Sardegna per la tutela e la conservazione dei nostri esemplari autoctoni, si continuava a Quaglie nelle grandi pianure di Monte Doglia, ricchissime allora del gallinaceo, oggi, ahimè, per lo più vietate alla Caccia in quanto territorio del Parco Regionale di Porto Conte.
Le Quaglie, indimenticabile prima grande passione, ai tempi arrivavano ancora numerose e indisturbate, non c’era tecnologia o altro “inganno” che deviasse la loro destinazione naturale, per dirla con parole di un amico… la Caccia allora era pura e semplice passione di portatori sani che andavano oltre gli interessi materiali…
Nel frattempo, arrivati a fine ottobre, con i primi profumi d’autunno, tra i quali i mandarini con cui Cesare riempiva le tasche, si cominciava a battere qualche zona di appoggio nella speranza di incontrare la prima Regina.
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Quando finalmente l’autunno portava i suoi frutti, mentre si percorreva il tragitto in auto, Cesare si trasformava in filosofo-narratore con uno dei tanti articoli pubblicati dal “vangelo del cacciatore” dell’epoca, il mensile Diana Caccia e così si entrava nella poesia della caccia allo scolopacide.
Anche la zona da battere era sua, allora un vero paradiso per la Regina, grandi distese pianeggianti e collinari di sugherete con tappeti di cisto basso, mirti, felci e rovi si perdevano a vista d’occhio, separate dai nostri tipici e caratteristici muretti a secco che ne delimitavano le proprietà.
Inoltre la zona, a poco più di 200 metri sul livello del mare era attraversata in lungo e in largo da corsi d’acqua che in alcuni punti creavano acquitrini e laghetti.
Si arrivava a destinazione attraverso una vecchia stradina sterrata, rigorosamente prima dell’alba e nonostante il freddo allora molto pungente, si apriva subito la capotte per controllare attentamente l’entrata mattutina di sua maestà la Regina.
Io con gli occhi ben aperti a scrutarne un lato e Cesare l’altro.
Tutto questo durava non più di 15/20 minuti, poi il resoconto che di norma era sempre cospicuo.
Si cominciava la battuta nel lato dove ne erano calate di più, quasi sempre lo stesso dove si trovava “il laghetto” nascosto dalla vegetazione fino al limite della spalla di contenimento.
Appena entrati, non appena saltato il muretto a secco capitava spesso di trovare la prima beccaccia di lì a pochi metri, nella prima striscia di cisto basso e fitto sotto le querciole, quindi si caricava subito, con le mani ancora infreddolite.
Neanche a pensarlo, Lilla era già in traccia e Snoopy come inghiottito dal folto del bosco.
Il campano si era fermato…silenzio assoluto, con un verso lo richiamavo …e ancora niente.
Cesare mi faceva di mano per farmi capire che Snoopy era in consenso appena sotto Lilla e insisteva perché io scendessi un po’ più giù a coprire la via di fuga.
Piazzato aspettavo… ma la beccaccia si involava verso Cesare che di prima non la sbagliava.
Richiamavo Snoopy perché Lilla riportasse in tutta tranquillità, poi un cenno di Cesare e si continuava passo passo, lasciando girare bene i cani, la macchia era intrisa di brina, difficilmente stavano all’interno, in giornate del genere preferivano stare al bordo della macchia……. pronte a tentare la via di fuga da piccoli spazi di pulito.
In prossimità del “laghetto” l’attenzione saliva, l’habitat era quello giusto, umido e freddo, sporco di macchia intricata di rovi, un punto dove non mancavamo mai di trovarne anche diverse. I cani infatti avevano già inquadrato e noi ci separavamo per stare ognuno dietro al proprio…
Snoopy batteva forte di codino e accelerava l’andatura, bloccando di tanto in tanto per poi riprendere, dovevo stargli sempre vicino, pronto alla stoccata, il cane era ancora giovane e irrequieto e la ferma non era tanto solida.
In prossimità della spalla di contenimento rallentava guardandosi attorno circospetto, poi in un attimo accennava la ferma e sfondava. Due beccacce si involavano a colonna, all’unisono, un colpo alla prima e doppietto alla seconda…e giù tutt’e due. Mentre Snoopy era intento nel riporto potevo sentire il doppietto di Cesare a poca distanza e intravedere Lilla mentre riportava la regina.
Si continuava quindi più vicini nelle vicinanze del laghetto, io sul bordo più alto e Cesare di sotto, i cani di nuovo in cerca tra i roveti marcavano forte, Snoopy batteva ancora forte di codino e Lilla si esibiva in una filata delle sue, una affiancata all’altro con due beccacce diverse… uno spettacolo. Io e Cesare tra un cenno di intesa e l’altro dietro a loro pronti all’epilogo. La prima regina si involava bassa davanti a Lilla per poi sfondare sul lato alto dove Cesare, coperto, non poteva sparare e io alto, sentito il frullo, pronto di stoccata.
La seconda, incalzata da Snoopy, cercava la via di fuga giù verso il canalone, ma Cesare ben piazzato la fermava di prima canna.
Al fragore delle fucilate una decina di germani reali si alzavano in volo alle mie spalle, tutti a tiro di schioppo, ma eravamo a Beccacce con i cani ancora in azione… avevo il mio poco sotto che procedeva lentamente… andando a fermare di fronte ad un muro di cisto. Era da troppo immobile, tanto che con la massima cautela mi ero avvicinato e potevo vedere la regina sul bordo pulito del prato completamente coperta di goccioline di rugiada, il lungo becco nascosto fra le piume del petto, sollevata sulle zampe e con gli occhi chiusi…
La bella addormentata del bosco, la ricorderò sempre così, uno spettacolo… al contrario delle tre fucilate andate a vuoto con tutta la facilità…
Anche Cesare, coperto senza poter intervenire, era rimasto senza parole!
“Compà – gli avevo risposto – oggi a me… anche questa è La Caccia.”
Si proseguiva quindi per il fondo del canalone, la parte di bosco vera e propria, sughere a spalla e sottobosco fitto fitto di vegetazione dove la regina si faceva rispettare, ma anche Lilla e Snoopy sapevano la loro, conoscevano il posto a memoria, ritornavano puntualmente sulle rimesse, erano allenati con lo scolopacide, allora presente in gran numero e con pochissima pressione venatoria. Quasi nessuno andava a beccacce e molti la evitavano addirittura. Ricordo il pastore che storceva il naso quando ci incontrava, la chiamava “falchetta” in limba sarda, in riferimento al suo modo, a volte, di volare.
C’eravamo divertiti anche sul fondo del canalone quella mattina e stanchi ma soddisfatti eravamo rientrati alla macchina per uno spuntino e per far rifiatare i cani, meritevolmente.
Tempi… che non torneranno più!!!