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L’inefficacia del “Pronta Caccia”, capi destinati a morire (senza finire nei carnieri)

I ripopolamenti pronta caccia, oltre a essere eticamente inaccettabili e antieconomici, sono anche inefficaci nel riempire i carnieri. Mancanza di habitat, predatori, scarsa qualità dei capi e degli allevamenti, giocano un ruolo fondamentale.

Continuando la serie di articoli riguardanti i ripopolamenti di fagiani pronta caccia è necessario soffermarci su un altro aspetto. Infatti, anche senza considerare la questione etica e quella economica, rimane il fatto che questo genere di ripopolamenti non funziona. Non funzionerebbe se l’obiettivo fosse quello di ristabilire popolazioni selvatiche, ma nemmeno se il fine fosse donare ai cacciatori animali pronti da essere abbattuti. Affermo questo sulla base di ciò che già è stato accennato in un articolo precedente e cioè che rispetto ai vertiginosi numeri dei lanci quelli che poi vengono riscontrati nei carnieri sono irrisori.

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Le cause di una così bassa sopravvivenza

Questo fatto ha diverse radici: innanzitutto, nella solita e annosa questione degli habitat. Non si possono liberare centinaia di fagiani in un habitat non votato alla specie e sperare che essi sopravvivano più di qualche ora. La ricerca di cibo e riparo li spingerà a muoversi in un territorio che non conoscono, appropriandosi rapidamente di una libertà che non sanno gestire.

In secondo luogo, la sopravvivenza dipende direttamente dalla qualità degli individui liberati e, come abbiamo già detto, nessun ATC o quasi indice bandi per la fornitura di selvaggina che presuppongano elevati standard qualitativi anche perché, e arriviamo al terzo punto, difficilmente la qualità va a braccetto con costi bassi. Nell’ottica di puntare a numeri elevati si è ridotta sempre più l’attenzione nell’acquisto di individui validi che possano avere qualche speranza di sopravvivere. Poche decine di anni fa i fagiani venivano lanciati prevalentemente in primavera o all’inizio dell’estate e molti di essi arrivavano in ottima forma all’apertura della stagione venatoria, come è possibile che al giorno d’oggi, anche al netto di quelli eliminati dai cacciatori, il 99% non sopravviva alla prima settimana?

L’ultimo aspetto è quello forse più delicato perché sarebbe un problema anche in una gestione lungimirante che abbandoni l’idea dei ripopolamenti autunnali: i predatori. Volpi e non solo hanno visto le proprie popolazioni aumentare negli ultimi anni e ora sono presenti in gran numero in tutti gli ambienti della nostra penisola. Questo aumento è certamente dovuto a molteplici fattori tra i quali sottolineiamo quelli che più competono al mondo venatorio. Come già accennato, le ingenti quantità di selvaggina rilasciata in territorio libero si sono tramutate di anno in anno in una scorta fissa di cibo per predatori e animali opportunisti. L’avvicinarsi dell’inverno assieme alla raccolta della maggior parte delle colture è da sempre il periodo in cui la ricerca di cibo per tutte le specie diviene più difficoltosa; le decine di migliaia di fagiani immessi donano un foraggiamento continuo permettendo a numerosi individui di affrontare l’inverno in ottima forma e riprodursi allegramente all’arrivo della primavera.

Se consideriamo tutti i punti citati ci rendiamo conto ancora una volta che un cambio di gestione richiederebbe tempo e programmazioni adeguate, non basta scegliere il mese giusto in cui lanciare i fagiani.

La scelta degli individui da immettere: a cosa prestare attenzione?

Cominciamo dalla scelta degli individui da immettere in natura. Non solo la qualità di questi ultimi è importante, ma anche la tipologia scelta: vi sono tante varianti di fagiani e quelli spesso utilizzati per i lanci di settembre sono esemplari imponenti, pesanti, che gonfiano i carnieri e l’orgoglio di chi li preleva, ma non sono fatti per sopravvivere.

Partendo dal presupposto che in ogni caso sono individui nati e cresciuti in voliere più o meno idonee al volo, bisognerebbe scegliere fagiani leggeri, che siano rapidi nell’involo e a cui riesca facile posarsi sulle piante. Questi due aspetti risultano fondamentali per aumentarne la sopravvivenza in natura dove non vi sono recinzioni a proteggerli dai predatori.

Ma anche in questo caso l’attenzione degli organi di gestione è spesso rivolta altrove perché ai cacciatori che richiedono i pronta caccia interessa poco che gli individui riescano a fuggire dagli attacchi notturni, il loro obiettivo è riempire il carniere nelle due o tre giornate successive ai vari lanci.

La qualità degli allevamenti: un aspetto fondamentale

Oltre al tema della tipologia di animali acquistati c’è, come già accennato, da tenere in considerazione la qualità degli allevamenti. I pochi in Italia che possono vantare fagiani di livello, grazie alla bassissima competizione, possono giustamente permettersi di mantenere prezzi elevati.

Per allevamenti di qualità si intendono luoghi dove i fagiani possono in qualche modo abituarsi ad alcuni aspetti della vita in libertà prima di essere rilasciati. Uno di questi esempi è l’allevamento Migliarino in provincia di Pisa che presenta voliere con basse densità, una nutrizione incentrata su granaglie dai quaranta giorni di vita e la presenza di alberi all’interno delle voliere stesse. Questi accorgimenti hanno portato questo allevamento a fornire esemplari con un miglior tasso di sopravvivenza e non sono interventi impossibili da attuare e imitare; il problema è sempre lo stesso: l’offerta viene pilotata dalla domanda e gli ATC in questi anni non sono andati in questa direzione.

Habitat e stagioni idonee all’immissione

La bassa sopravvivenza degli individui liberati è dovuta anche a un aspetto che da essi non dipende e cioè il periodo dell’anno in cui queste immissioni avvengono. Questo è un discorso strettamente collegato all’habitat che merita qualche riga di attenzione.

Anche in un ambiente fortemente votato a questa specie la differenza tra un fagiano che viene liberato a luglio e uno che viene immesso a ottobre o addirittura novembre è palese. Nei mesi autunnali dalle nostre campagne spariscono contemporaneamente cibo e riparo. Anche per un individuo nato e cresciuto in natura questi risultano essere i mesi più complessi da affrontare, ma per un esemplare che ha vissuto fino al giorno prima in una voliera la complessità si tramuta in una certa sentenza di morte.

Sulla questione habitat mi soffermo solo per sottolineare che il fagiano non è l’unica specie su cui la caccia si può basare: vi sono ambienti e territori molto più consoni alle starne o alle pernici rosse che in determinate situazioni hanno una capacità di sopravvivenza molto più elevata; peccato che i cacciatori italiani considerino degno di fare carniere soltanto il fagiano, in qualsiasi territorio, a qualsiasi altezza e con qualsiasi habitat.

Gestione dei predatori: un problema che tutti dobbiamo affrontare

Ultimo aspetto anticipato nelle prime righe di questo scritto è quello dei predatori. Molti lettori hanno già anticipato il discorso citandoli nei commenti agli articoli precedenti e non è questo l’articolo idoneo per dilungarci sui vari metodi di controllo degli stessi; ma una cosa va detta: tralasciando i rapaci sui quali nulla ci è concesso di fare, tutti gli altri predatori possono essere controllati e abbattuti da tutti i cacciatori. Se ognuno dedicasse qualche giornata della sua annata venatoria a questa attività invece che al tiro al bersaglio su polli travestiti da fagiani sicuramente il problema verrebbe fortemente ridotto. Detto questo, sicuramente ci sono vie più efficaci che richiedono l’organizzazione e l’impegno degli organi competenti, ma nel nostro piccolo potremmo cominciare a fare qualcosa senza attendere sempre che sia qualcun altro a intervenire.

In conclusione, riesce difficile credere che alla luce di tutto questo vi siano ancora molti cacciatori, verosimilmente la maggioranza, che chiedono e desiderano questo genere di ripopolamenti. A coloro che hanno aperto gli occhi di fronte all’assurdità di questa gestione spetta l’arduo compito di portare avanti il cambiamento. A tal proposito, avremo modo di vedere nei prossimi articoli quali possono essere le alternative e quali le strade di una gestione radicalmente differente ma ecologica e sostenibile.

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Trapper
Trapper
8 mesi fa

Con i fagiani pronta caccia aumenta il business ,se si promuovesse una vera e proria campagna di selvaggina stanziale riproduttrice ,se ne venderebbero di meno ,bisognerebbe spendere soldi per curare l’ambiente ,decimare i predatori e altre spese intelligenti a discapito ,quindi , degli incassi delle quote atc

Pavarin silvano
Pavarin silvano
8 mesi fa

Non sono d accordo su quello scritto sopra in quanto tutto dipende dalla qualità dell animale liberato e come e stato allevato cercando di mantenere al massimo la sua selvaticita Naturalmente non tutti Si salveranno ma molti si adattandosi al territorio dove si trovano. Diciamo invece che se i cacciatori rispettassero di il calendario venatorio si salverebbero più animali per l’anno a venire invece di fare delle mattanze che al giorno d oggi non servono piu

Gianni
Gianni
8 mesi fa

E’ una vergogna lanciare fagiani pronta caccia, muoiono di fame e sete in pochissimi giorni.
Altra cosa importante è controllare le AFV che dovrebbero fare lanci in base al loro territorio prima dell’inizio della stagione venatoria. Ma nessun controllo.

Lorenzo
Lorenzo
8 mesi fa
Reply to  Gianni

Prima lanciavano i fagiani in base alla grandezza del territorio ora pagano e non lanciano niente,
anche nei ripopolamenti non c’è più niente è pieno di volpi non fanno battute per abbatterle
gli ATC prendono i soldi e basta c’erano più animali prima degli ATC

Marco
Marco
8 mesi fa

il problema rimane sempre lo stesso, le associazioni di categoria, che tendono a dare il contentino per fare tessere…..

Fabrizio
Fabrizio
8 mesi fa

Buongiorno, io pienamente d’accordo con il sig Mario, bisogna ripopolare seriamente le riserve, mantenendo sotto controllo i predatori.
E sicuramente non sottovalutare il periodo di immissione.
Ma tutto questo ha un costo e gli ATC se ne guardano bene dall’attuarlo.

Livio
Livio
8 mesi fa

Frequento alcune zone dell’Atc Pisa 14. A mio avviso il maggiore problema risiede nel voler dare il contentino a tutti i cacciatori residenti,contentino per la prima settimana di apertura. Si danno fagiani da ripopolamento a seconda ddl numero di cacciatori residenti nei vari comuni e non in rapporto al territorio votato.Si salvano alcune situazioni particolari gestite da gruppi più avveduti. Ci sono zone dove l’agricoltura non è intensiva, seminativi, vigne abbandonate, boschetti e poiché i cacciatori del luogo sono pochi i lanci vengono trascurati. Ci sono zone a vivaio, mais,girasole,zone dove i terreni non restano mai fermi,territori fortemente antropizzati nei quali vengono effettuati lanci numerosi per il solo fatto che i cacciatori residenti sono numerosi. Risultato? Nel primo caso puoi avere qualche incontro pure a novembre,nel secondo ai primi di ottobre animali finiti.
Serve una politica di ripopolamento fatta su basi scientifiche, valorizzare i terreni vocati che poi sono quelli meno problematici pure per la convivenza cacciatore /non cacciatore.

Mario
Mario
8 mesi fa

Provate a fare un ripopolamento con fagiani di cattura all’interno di una riserva, vedrete che oltre a sapersi difendere da eventuali predatori quando cominceranno a riprodursi e saranno in soprannumero automaticamente per questioni di spazio e di pastura saranno gli stessi fagiani a invadere anche le zone di caccia aperte.

Marco
Marco
8 mesi fa

Il problema principale è il periodo di lancio!! Buttiamoli in febbraio, in modo che possano ambientarsi, mangiare, bere e riprodursi! Come si fa a pretendere che succeda uguale con lanci in luglio / agosto e settembre?! Giustamente ci prendono per il culo anche gli animalisti.

Lorenzo
Lorenzo
8 mesi fa
Reply to  Marco

I lanci si fanno a febbraio marzo no a luglio,con fagiani boni che covano e fare battute ai nocivi come si faceva una volta

Pagliotti Renato
Pagliotti Renato
8 mesi fa

sono pienamente d’accordo con il contenuto dell’articolo solo che è stato tralasciato un piccolo particolare il lavoro fatto nei campi dai benemeriti contadini tanto che sono sparite le rondini e mi sono dimenticato come sono fatte le allodole

Sandro
Sandro
8 mesi fa

“peccato che i cacciatori italiani considerino degno di fare carniere soltanto il fagiano”
ma a certe conclusioni ci siete arrivati da soli o qualcuno ve le ha suggerite?
la maggior parte dei cacciatori sono cinghiali e quelli con il cane da ferma che si dedicano alla selvaggina stanziale sono una minoranza.
Io appartengo alla seconda e sono sicuro che tutti saremmo felici di trovare brigate di starne e pernici durante il periodo delle prove e ne proseguo dell’attività venatoria .
Quindi evitate simili conclusioni .
Comunque visto che si menzionano le ATC ( ENTI INUTILI, ANZI,UTILI A SPERPERARE SOLDI DEI CACCIATORI) vorrei porvi una domanda:
a che fini scientifici si lega un cacciatore migratorista alla propria ATC ?
rispondo io:
nessun fine scientifico,visto che,pagando, è possibile cacciare anche in altri ATC .
il resto..solo articoli di a se stessi

Adriano Mascarino
Member
8 mesi fa
Reply to  Sandro

La conclusione non la suggerisce nessuno, è semplicemente ovvio e desumibile da quello che sta accadendo sul nostro territorio. Se fosse come dici tu nessun ATC si concentrerebbe sul fagiano in habitat per nulla vocati a esso perché genererebbe solo il malcontento dei suoi stessi soci. Dobbiamo piantarla di dare la colpa agli ATC come se fossero realtà terze che decidono per noi, gli ATC sono costituiti e gestiti dai cacciatori, se poi la maggior parte se ne infischia della gestione e si ricorda di essere un cacciatore solo ad agosto quando libera i cani questo è un altro discorso. Se tutti i cacciatori di cui parli che amano le starne provassero a cambiare le cose e partecipassero alle assemblee e così via non saremmo nello stato in cui siamo. Sulla questione migratoria e ATC non mi soffermo perché non c’entra nulla con l’argomento trattato e meriterebbe un confronto a parte.

Giovanni
Giovanni
8 mesi fa

In un convegno organizzato dall’ATC Perugia 2 proposi di modificare l’iscrizione alzando notevolmente il costo e inserendo la possibilità per i cacciatori di portarlo al minimo mettendosi a disposizione per la gestione del territorio che l’ATC stesso avrebbe dovuto organizzare con una serie di attività che potevano andare dal ripristino delle siepi alle mangiatoie e abbeveratoi per la fauna o al controllo delle specie opportuniste o tante altre attività, il tutto partendo dal presupposto che il cacciatore in 5 mesi di attività venatoria riesce a superare anche le 70 uscite e quindi nei sette mesi successivi non può non trovare 3/4 giornate da mettere a disposizione per la gestione di quel territorio di cui usufruisce, la risposta venuta dalla dirigenza dell’ATC e da alcuni presidenti di Associazioni nonche da qualche politico locale è stata che questa proposta era ridicola non era possibile attuarla, lei è solo un sognatore.
il punto è che gli ATC sono solo baracconi mangiasoldi e chi li gestisce non ama le interferenze esterne nel frattempo muore il territorio e con lui anche la caccia.

Emanuel
Emanuel
8 mesi fa

come citato nell’articolo ben descritto il problema principale sono i predatori…e purtroppo questo problema è un argomento che le regioni negli ultimi anni non hanno ben afferrato o forse hanno cercato di ignorare senza usare invece impugnare il problema…negli anni scorsi il predatore principale come la volpe veniva gestita da operatori specializzati che intervenivano tutto l’anno con azioni mirate in tutto il territorio…e i risultati si vedevano…ora hanno dato la possibilità di operare ai corvidi solo perché creano danni alle associazioni agricole e noi passiamo sempre al secondo posto….ricordo che il cacciatori già ristretto ogni anno di giornate di caccia, durante il periodo di caccia va a caccia e non va sicuramente a perdere quelle poche giornate per fare abbattimento a nocivi che a nessuno fuori da noi stessi nteressa….

RICCHI ROBERTO
RICCHI ROBERTO
8 mesi fa

Sono d’accordo su quanto scritto nell’articolo. Molta colpa del soprannumero degli animali opportunisti è dovuta a noi cacciatori che non ci degnamo di dedicare 2/3 giornate di caccia all’anno a questi animali e questo è un dato. I corvidi oltre a danneggiare la fauna sono una pestilenza anche per gli agricoltori, e qui bisognerebbe che intervenissero le Regioni dando la possibilità di cacciarli con i richiami vivi , anche catturati nelle ZRC ( pure a pagamento ). Per il fagiano oltre che smettere di cacciare le femmine, perlomeno per 4/5 anni, poi vedremo, sarebbe opportuno lanciare dei fagiani nelle voliere di ambientamento in zone tipo ZRV e poi ricatturarli ai primi di gennaio per immetterli nel terreno libero. Altra cosa importante sarebbe di scegliere la razza di fagiano che è più consona alla zona che dovrà ripopolare. Invece di spendere soldi sui miglioramenti ambientali sarebbe meglio spenderli per la gestione degli incolti dove è possibile. Unico difetto forse sarebbe che girerebbero meno soldi.

Matteo Del Cesta
Matteo Del Cesta
8 mesi fa

Da anni noto un decadimento delle popolazioni sempre più drammatico, sia a stagione aperta che a stagione chiusa.
Penso purtroppo che più che la presenza di predatori il problema sia l’agricoltura intensiva,che rovina l’ambiente per i fagiani.
Campi e campi a perdita d’occhio, che siano grano, girasole, soia o mais poco importa, dopo il raccolto diventano parcheggi e l’anno successivo sempre la stessa coltura, con ovvio accumulo di diserbanti, pesticidi e anticrittogamici.
Gli incolti non esistono, tutti i fossi sono puliti come piscine, i filari ridotti al minimo.
Per me finché non ci sarà una comunione d’intenti con i proprietari dei fondi non si risolverà alcun problema.

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