Pompei: ozio e ars venandi 2000 anni fa
"Mentre altrove faceva giorno, colà era notte, più oscura e più fitta di tutte le altre notti, sebbene fosse rischiarata da fiamme e bagliori“ - Plinio il Giovane, Lettera a Tacito
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È il 79 d.C., è autunno, sulle tavole imbandite delle case signorili si trovano melograni e frutta secca, legumi e vino rosso. Per le strade della città, nei vicoli, al termopolio, nelle numerose botteghe o alle terme, i discorsi vertono sempre sui soliti argomenti: dalle numerose fontane presenti nel centro abitato non sgorga più acqua, i terremoti continuano incessantemente nonostante i riti per ingraziarsi le divinità e gli animali selvatici sembrano spariti dal monte prospiciente la città.
E proprio quel monte, ricoperto di macchia mediterranea e ricco di selvaggina stanziale, altro non era che un vulcano dormiente, uno dei più pericolosi. Ma questo gli antichi lo impararono a loro spese. Quell’altura, infatti, era il Vesuvio e quella città Pompei. E cosa accadde la notte del 24 novembre del 79 d.c. ormai è noto a noi tutti: lapilli, ceneri e lava hanno seppellito un’enorme porzione di territorio fino a ricoprire Stabia, Oplonti, Ercolano, Pompei e le campagne circostanti.
«Ecco il Vesuvio, poc’anzi verdeggiante di vigneti ombrosi, qui un’uva pregiata faceva traboccare le tinozze; Bacco amò questi balzi più dei colli di Nisa, su questo monte i Satiri in passato sciolsero le lor danze; questa, di Sparta più gradita, era di Venere la sede, questo era il luogo rinomato per il nome di Ercole. Or tutto giace sommerso in fiamme ed in tristo lapillo: ora non vorrebbero gli dèi che fosse stato loro consentito d’esercitare qui tanto potere.»
Marziale Lib. IV. Ep. 44
Pompei
Nel 1738, Carlo di Borbone diede inizio ai primi scavi e, da allora, Pompei è uno dei siti archeologici più conosciuti al mondo. Sotto la spessa coltre di lapilli e cenere, sono sepolti 66 ettari di monumenti, strade, oggetti, case, affreschi, mosaici, uomini e donne. E l’eccezionalità del tragico evento ci restituisce la più grande e affascinante testimonianza sulla vita di una città romana di 2000 anni fa, affascinante a tal punto da essere riconosciuta Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO.
Pompei è una capsula del tempo: percorrendo le antiche strade basolate, visitando le dimore, sia quelle più umili che quelle dei più ricchi, entrando negli edifici pubblici e nei templi, si è letteralmente catapultati in un mondo antico, distante dal nostro. Questo viaggio nel tempo ci regala, come nessun altro posto al mondo, uno spaccato della quotidianità di una città romana di 2000 anni fa.
La città, per esigenze di studio, è divisa in regiones (quartieri) ed insulae (isolati) e ogni singola abitazione prende il nome dal proprietario (quando lo si conosce) o da elementi caratterizzanti rinvenuti durante gli scavi. Fuori dalle porte di accesso alla città sono invece presenti le necropoli, ricche di tombe monumentali, ville e santuari extraurbani.
La Caccia nelle case di 2000 anni fa
Visitare Pompei è un po’ come guardare dal buco della serratura della storia e spiare le vite dei suoi abitanti. E la quotidianità di quelle genti era fatta anche di attività venatoria. Una caccia lenta, di svago e allo stesso tempo preparatoria alla guerra per i più ricchi. Una caccia utile a riempire il piatto per i meno abbienti.
Tre le case di Pompei, quelle più ricche e adornate da affreschi e mosaici sono quindi raffigurate scene che richiamano l’attività venatoria e la passione dei proprietari per questa antica arte. Tra queste ne ricordiamo alcune.
Regio I; Insula 6 – Casa dei Ceii
Prende il nome dal proprietario, Lucius Ceius Secundus. Conosciamo questo particolare per la presenza di una scritta di propaganda elettorale presente sulla facciata della casa. Nel grazioso giardino, sulla parete di fondo, sono rappresentate scene con animali selvatici di straordinaria bellezza. Sulle pareti laterali sono invece raffigurati animali e paesaggi del Delta del Nilo. Le immagini esotiche con animali selvatici in combattimento e scene di pigmei africani a caccia, sono impresse per stupire e coinvolgere gli ospiti, per catapultarli in luoghi esotici e selvaggi.
Regio VII; Insula 4 – Casa della caccia antica
Prende il nome da alcuni affreschi di straordinaria bellezza ma, purtroppo, particolarmente rovinati. Per fortuna, esistono una serie di disegni ottocenteschi che ci fanno apprezzare la bellezza delle scene al momento del rinvenimento. In queste immagini sono raffigurate scene di caccia svolte in un territorio roccioso, aspro e pieno di fiere. Il grande dipinto a tema venatorio è realizzato sulla parete sud del viridarium (un giardino pieno di piante e giochi d’acqua dove ristorarsi).
Al suo interno sono rappresentate almeno due scene di caccia: in alto due uomini sono impegnati in una battuta agli orsi mentre, più in basso, un uomo solo con il suo cane è intento a uccidere un grosso cinghiale. Il tutto è adornato da immagini crude e selvagge con fiere a caccia di tori e antilopi. Questo affresco ci regala, inoltre, preziose informazioni sull’abbigliamento di un cacciatore romano di 2000 anni fa. Il vestiario era costituito da una tunica stretta che lasciava scoperti parte del busto e le gambe per facilitare la corsa. E questa informazione ritorna anche nelle raffigurazioni della Dea Diana e in alcuni scritti antichi. Ai piedi calzavano, invece, calzari bassi o che arrivavano all’altezza del ginocchio. A protezione della testa era indossata la galea venatoria, un copricapo stretto, spesso in cuoio.
Altre figure rappresentano invece la caccia al cervo con i cani. In queste pitture i cacciatori non sono uomini, ma amorini alati e armati di lunghe lance appuntite. Anche in questa casa, l’intento del proprietario era quello di evocare scenari magici per coinvolgere i suoi ospiti
Regio VIII; Insula 3 – Casa del cinghiale I
In questa domus, nel corridoio di accesso, il pavimento è adornato da un mosaico in tessere bianche e nere raffigurante un cinghiale braccato dai cani dei cacciatori. La rappresentazione è talmente realistica che, di certo, anche l’artista deve aver assistito in prima persona alla scena.
Immaginando la vita di quei tempi
Se ci allontaniamo dalla tragedia della natura che ha colpito i nostri antenati nel 79 d.C. e proviamo a vivere virtualmente tra quelle rovine immaginando la vita, il quotidiano di quegli uomini prima della catastrofe, di certo riusciamo a percepire la routine di quelle genti. Allo stesso tempo, le magnifiche testimonianze pompeiane qui raccontate ci narrano di lunghi pomeriggi assolati passati oziando nei giardini di quelle bellissime dimore a godere del fresco dei porticati e dell’ombra amena degli alberi da frutto. E così, tra pavoni liberi di scorrazzare, voliere ricolme di uccelli, fontane che riproducono bellissimi giochi d’acqua, mosaici e dipinti coloratissimi alle pareti, i proprietari della domus accoglievano gli ospiti in ambienti meravigliosi e bucolici. Si trattava di vere e proprie oasi naturali da cui fuggire il caos della città alla ricerca di distrazione e svago e, ovviamente, le raffigurazioni venatorie rappresentavano appieno la voglia di evasione dal quotidiano e, chissà, riportavano alla mente bellissime giornate passate all’aperto inseguendo cinghiali e caprioli, cervi o lepri.
(Sono state qui trattate solo tre domus, ma vogliamo ricordare anche: la Casa della caccia nuova, la Casa di Marco Lucrezio Frontone, la Casa di Apollo e la Casa della caccia ai tori o Casa di Coponii)
Il Vesuvio è ancora ricco di selvaggina stanxiake e migratoria, peccato che nonostante sia parco nazionale, è un luogo preferito da bracconieri che trovi puntuamente alla poata alla beccaccia, mattina e sera, caccia al coniglio selvatico di cui dovrebbe essere ricco, colombacci, tordi e i poco amati cinghiali. Bisognerebbe che chi è deputato alla sorveglianza, sia più presente con maggiore personale.