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Beppe e le Minilepri

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Dicembre. Mese di festività in cui tutti sono felici in pieno spirito natalizio, mese in cui non mancano le occasioni per sedersi a tavola con amici e parenti a gozzovigliare come se non ci fosse un domani. Per non parlare del vortice dello shopping compulsivo in cui si viene risucchiati se si mette un piede in fallo entrando in casa, soprattutto nei fine settimana. Per me, che lo vivo da cacciatore, invece, è un mese transitorio in cui non si sa mai cosa fare, a parte schivare le trappole seminate da mia moglie lungo il mio cammino con lo scopo di incastrarmi in qualche centro commerciale che io aborro. A volte cedo perché le prospettive venatorie sono scarse per non dire peggio. Appostamento alle anatre? Se non ci sono clima e intemperie giuste non se ne parla. Colombacci? Il passo se li è portati via quasi tutti! Beccaccini? Se non piove è inutile perderci tempo. Beccacce? A parte qualche vecchia corsara che si è ormai ambientata ed è scaltra al punto da non farsi avvicinare neanche col mantello dell’invisibilità, non c’è alternativa. Non mi resta altro da fare che deprimermi!

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E comunque, siamo a venerdì, uno dei tanti. Domani si esce a caccia, ma di che? Prima di pensare al peggio chiamo zio Beppe:
“Pronto Peppuccio, com’è?”
“Ueeee Terrorista! Tutto a posto, grazie. Che si dice?”
“Niente di che, domani a che ora?”
“Alle 06:00 al solito posto. Prendiamo il caffè, poi andiamo a vedere se escono i tordi. Ricordati di non portare i setter.”
“Ooook… ma poi?”
“Non ti preoccupare, ci penso io.”
“Va bene! Mi fido. Chi siamo?”
“Io, te, Pasquale e Salvatore.”
“Ok, a domani.”
“A domani e portati un po’ di quelle cartucce del 6 che ti ho fatto prendere il mese scorso, ti servono!”
“Va bene, va bene. A domani.”

Cartucce del 6… per i tordi? Boh! Che gli sarà venuto in mente di fare? Chi vivrà vedrà, dice il proverbio. E con zio Beppe è sempre una sorpresa, per cui stasera a letto presto, che domani mi spetta una levataccia. Cacceremo in Oltrepò Pavese e mi serve un’ora buona per arrivare al nostro ritrovo abituale, quindi preparo tutto il necessario. In primis carico la cartuccera di pelle che mi sono fabbricato da solo con tre cartucce piombo 4, quattro piombo 5, cinque piombo 7 e diciotto di quelle che mi ha chiesto Beppe, cartucce leggere con bossolo tipo 1 caricate con la GM3, borra in feltro, piombo 6. Preparo poi gli scarponi, le ghette, la trisacca By Marsupio di cui non posso fare più a meno, il cappello, il fischietto e la fiasca del “cognacco” francese che piace tanto a me e soprattutto a zio Beppe. Visto che probabilmente domani sarà una giornata tranquilla, dove la massima attività si avrà con lo spollo, decido di preparare la doppietta di mio nonno, una vecchia Cockerill del 1948 a cani esterni. Lo scorso anno è stata restaurata da una nota azienda di Gardone Val Trompia, e di occasioni per utilizzarla durante la stagione corrente ancora non ce ne sono state. Meglio approfittarne.

Alle 06:00 dell’indomani mattina sono al solito bar per il caffè. Entro con il fucile in spalla, tanto qui sono tutti cacciatori, quasi tutti lepraioli o cinghialai. Nessuno si scandalizza nel vederlo: mi salutano, contraccambio, mi sento a casa e questo mi rende felice e mi fa sentire protetto da una grande famiglia. Anzi, più che protetto, mi fa sentire parte di qualcosa di grande, il mio mondo con tutti i suoi pregi e i suoi difetti. In mezzo ai cacciatori mi sento sempre a mio agio.

Arriva Salvatore e, dopo alcuni minuti, Beppe con suo nipote Pasquale. La combriccola del “Blasco”, per citare il Vasco nazionale, è riunita al completo ed operativa. Mentre stiamo bevendo il caffè si discute su quale valletta iniziare la giornata e, dopo attente valutazioni, si decide per una località poco fuori il paese di San Damiano al Colle.

Arriviamo sul posto, lasciamo il mio fuoristrada e le loro auto lungo la strada asfaltata in modo che non disturbino la caccia né arrechino impiccio alla circolazione stradale. È ancora buio, non c’è freddo intenso. Estraggo la doppietta dal fodero, la apro e me l’appoggio sulla spalla. Zio Beppe è in piena frenesia: ci dispone, secondo la sua esperienza, lungo i filari di viti a mezza costa, dove, grazie a questi ultimi, possiamo trovare una discreta copertura dalla vista dei tordi, che altrimenti ci sorvolerebbero o passerebbero da un’altra parte.

Sono le 07:15: il giorno fa capolino in lontananza, con la poca luce intuisco che sarà una giornata nuvolosa. A destra, a circa 50 metri, ho Pasquale; a sinistra, più o meno alla stessa distanza, c’è Salvatore. Cacciamo insieme ormai da parecchio tempo, per cui non serve neanche fare briefing prima della cacciata: la regola è sempre quella, si spara solo a quello che ci passa davanti e a tiro. Tutto quello che sorpassa la linea delle poste è libero di andare per la sua strada. Zio Beppe intanto si è appostato più in basso rispetto a noi per tirare ai tordi che entrano nei primi filari, cosa che succede spesso prima che inizi il trambusto dei fucili posizionati più in alto.

07:20: i tordi iniziano a passare. Io non li vedo, ma me ne accorgo perché sento il vecchio trombone di Beppe che inizia a cantare. Ecco il primo, che mi passa a buon tiro sulla sinistra. Sparo e lo vedo cadere. Faccio per andare a recuperarlo ma mi passa il secondo, sempre sulla traiettoria del primo sparo, e cade anche questo. Ricarico e vedo arrivare uccelli ovunque. Sento Pasquale e Salvatore che ci stanno dando dentro, per cui non mi sposto. Spariamo a buon ritmo per circa 20 minuti, in cui non mancano le padelle. Ne ho colpiti infine 8 e spero di ritrovarli tutti. Lo spollo termina.

Vedo Beppe che sta risalendo dalla sua posta, segnale inequivocabile che possiamo spostarci ed iniziare a recuperare gli uccelli abbattuti. Beppe dice che ne ha tirati giù 11 ma ne ha persi tre:
“Ora come li trovi? Anche io ne ho da cercare qualcuno.”
“Non ti preoccupare che adesso risolviamo il problema.”

Intanto si dirige verso la macchina. Salvatore ha fatto 15 tordi e li ha trovati tutti, Pasquale 13 e non ne trova uno. Io ne ho recuperati 5 su 8 e non trovo gli ultimi 3. Ad un certo punto, dalla cima del colle, vediamo scendere di corsa due cocker color miele: sono Rocky e Thiago. Vispi come api sul miele, vengono a salutarci in cerca di una carezza. Rocky mi salta sulle gambe come un pazzo! È contento di vedermi, perché sa che quando io e Beppe ci incontriamo è per andare a caccia, per cui salta per la gioia. Si presenta anche Thiago, che mi fa un sacco di coccole: sono un piacere da vedere, vivacissimi quanto valorosi. Arriva un fischio che li riconduce all’ordine. Zio Beppe li mette subito al lavoro e, in men che non si dica, i capi persi vengono recuperati tutti. Segniamo i capi mancanti sul tesserino venatorio prima di infilarli nel carniere e facciamo il punto in cerchio attorno a zio Beppe.

Lungo le vigne ai lati degli stradelli e nel fondo valle, attecchiscono cespugli di rovi e di erbacce infestanti. Sicuramente antiestetiche, risultano antipatiche ai contadini, ma sono molto apprezzate invece da noi cacciatori, perché fungono da casa e riparo per molti animali, tra i quali la “minilepre”, saranno loro le protagoniste di questa nostra giornata di caccia.

Per questo Beppe oggi ha scelto i suoi due cocker, li condurrà da vicino, indirizzandoli ed invitandoli alla cerca (come se ce ne fosse bisogno), mentre noi saremo appostati in modo da fornire una buona copertura delle aree interessate. Il divertimento è assicurato! Tradendo il loro aspetto simpatico e bonario, i due cocker sono dei cacciatori formidabili, sono avidi della preda, grintosi ed instancabili. Sono stati ben addestrati da Beppe, che ha cercato di valorizzarne la grinta e soprattutto la caparbietà nella cerca. Difficile per una minilepre sottrarsi alla loro attenzione: la inseguiranno finché il rumore del colpo segnerà la fine dell’azione. Adesso mi spiego perché Beppe mi ha chiesto di portare le cartucce piombo 6 che acquistammo in gruppo circa un mese fa. In questo tipo di caccia, i tiri saranno piuttosto ravvicinati e quasi tutti di stoccata, perché le minilepri, incalzate dai cocker, “schizzeranno” fuori dai cespugli all’improvviso e a tutta velocità. Serve una cartuccia veloce, che abbia poco piombo e che apra il prima possibile, in modo da non rovinare la preda ma che abbia un discreto potere d’arresto. Dopo varie e vane ricerche tra i modelli commerciali, abbiamo deciso di farle fabbricare su misura dalla mia armeria di fiducia, Armeria “Avella Caccia e Tiro” di Motta Visconti.

Scendiamo verso il fondo della collina, dove c’è il primo grosso cespuglio di rovi. Carichiamo tutti i fucili e ci appostiamo in modo da poter coprire tutti i lati del roveto.

Rocky e Thiago fiutano qualcosa tra l’erba fuori dall’intreccio dei rovi, probabilmente una passata o una pastura. Dopo un veloce accertamento, entrano decisi nel cespuglio. Rocky lancia il primo abbaio; questo è il segnale che c’è l’ha davanti. Ormai, dopo sei stagioni passate a seguirli nelle loro scorribande, abbiamo imparato a conoscerli. Mastro Beppe lo incita ad incalzarla:
“Su Rocky, pigghiala, pigghiaaaa!!!”
“Eccola, eccola!” grida Pasquale mentre gli spara. Colpita!
“Porta, Rocky, porta!” grida Beppe.
“Occhio a destra, Salvaaa!!!” grido io a Salvatore, che, girandosi sul busto, stocca un tiro bellissimo su una minilepre in corsa, ormai a 20/25 metri, colpendola. L’ho vista uscire con la coda dell’occhio, ma non potevo tirare. Meglio avvisare Salvatore, che si trovava in una posizione migliore. Pasquale nel frattempo ne vede altre due uscire in fondo al roveto. Incolumi, fuggono su per le vigne, verso l’alto della collina.

Thiago, intanto, esce dai rovi e va a recuperare la seconda minilepre, frutto della sua caparbietà. Assorti dal lavoro del veterano, ci siamo dimenticati del giovane, che, a quanto pare, non ha nulla da invidiare al suo maestro. Nell’intrico dei rovi ha seguito la seconda preda senza mollare, finché l’ha stanata, mentre Rocky risolveva l’altra situazione. Ottima partenza, penso tra me e me. Dal primo rovo ne sono uscite quattro: due fuori tiro e due incarnierate. Quelle che sono riuscite ad andarsene saranno dimenticate da tutti in pochi minuti, resteranno sul territorio e potranno riprodursi, ripopolando la zona per il prossimo anno. Questa è un po’ la nostra filosofia di squadra. Potrà sembrare un po’ spiccia, ma nel nostro piccolo cerchiamo di prelevare secondo le regole e con un po’ di spirito di conservazione verso la selvaggina. La nostra sussistenza non dipende dal frutto della cacciata e il territorio poi ci garantisce molti facili incontri, perché questo selvatico in questa zona è bistrattato e non considerato. Tutti si concentrano infatti su lepre e cinghiale, per cui la popolazione di minilepri è molto numerosa. Perché abusarne? Non ha senso! Meglio conservare, a garanzia di altre future belle cacciate nelle prossime stagioni.

Scendiamo a valle pian piano e ci dirigiamo verso un altro roveto che si trova a circa 600 metri dal primo, solo che stavolta è in costa alla collina. Beppe manda me e Pasquale in cima alla salita, dove terminano i rovi, uno a destra e l’altro a sinistra, mentre lui e Salvatore fiancheggeranno il roveto a salire. È abitudine degli animali trovare la fuga verso la sommità del colle, per cui scappano sempre verso l’alto. Noi saremo in posizione ad attenderle, mentre loro due cammineranno pochi passi dietro ai cani, sparando a quelle che usciranno strada facendo.

I cani sono tra i rovi e sentiamo che stanno seguendo le passate che le molte minilepri hanno lasciato sui sentieri che si sono create andando avanti e indietro di continuo tra i rami e le spine. Thiago scagna! E, una decina di metri avanti, saltano fuori due selvatici dalla parte di Salvatore. La prima fucilata va a vuoto, la seconda centra il bersaglio. I cani escono e vanno a recuperarla. La prende Rocky, ma Thiago cerca di strappargliela di bocca. Inizia così un tira e molla, accompagnato dai rimproveri urlati di Zio Beppe in dialetto calabrese. Per fortuna, Salvatore di corsa si porta vicino ai cani e prende in mano la minilepre con autorità. Come niente fosse, i due cani rientrano nei rovi a caccia di altri animali.

Beppe si raccomanda sempre di togliere subito il selvatico dalla bocca del cane che lo riporta, perché se si avvicina il secondo, finisce in litigio per gelosia. D’altronde, l’avidità è la qualità che permette a questi ausiliari di essere cacciatori molto prolifici, però bisogna saperli gestire. Non tutti i soggetti hanno lo stesso carattere, ci saranno quindi in giro cocker che non hanno questo problema. Quelli di Beppe sono fatti così, per fortuna, e a noi piacciono come sono.

Pochi passi dentro ai rovi e di nuovo sentiamo uno scagno di Thiago, che pare abbia acceso il turbo e ci sta dando dentro a più non posso. Parte una minilepre dal lato di zio Beppe, che punta il suo trombone e fa fuoco. Primo e secondo sono i colpi a vuoto, col terzo vedo una pancia bianca rotolare nella polvere del vigneto. I cani non escono a recuperarla, probabilmente stanno braccando altre minilepri. Beppe recupera la preda da sé. Sono a metà della salita quando ne parte una a circa 15 metri dalla mia posizione, punto e sparo. La doppietta di famiglia ha fatto il suo dovere. Raccolgo la preda, la segno sul tesserino e la metto in carniere. Ritorno in posizione, ricarico la mia arma e mi metto in attesa. Siamo a 4 prede di squadra, ce ne restano ancora 4 per raggiungere il limite massimo giornaliero consentito. In Lombardia, il prelievo della minilepre è limitato a due capi al giorno pro capite. Raggiunto questo limite giornaliero, interromperemo la caccia di questo selvatico. Poco male, perché a quel punto sarà ora di rientrare alle macchine per pranzare.

Zio Beppe e Salvatore sono a 20 metri da noi, i cani stanno lavorando, ma non esce nulla… strano, penso… poi dietro di loro, a mezza costa, vedo sgattaiolare via in sordina una minilepre che, dopo aver eluso i cani, è tornata sui suoi passi. Capita spesso, del resto. Sono animali scaltri che insidiamo nel loro ambiente naturale, non si astengono dal difendersi in tutti i modi possibili, ed è giusto così. Per noi si tratta di un’attività ancestrale che abbiamo marcato a fuoco nel nostro DNA, adattata ai tempi moderni. Per loro è questione di sopravvivenza. Da questo pensiero nasce il rispetto che noi cacciatori nutriamo verso il selvatico tutto. Ci spostiamo nuovamente, questa volta in direzione delle macchine.

Una volta giunti al punto di partenza, Beppe sistema i cani dopo averli dissetati con abbondante acqua fresca, versata da una tanica che ognuno di noi usa tenere nel bagagliaio. Le zone collinari del pavese non sono ricche di acqua durante il periodo freddo, per cui averne una buona riserva trasportabile è sempre consigliabile. Personalmente, oltre a questa riserva che tengo in auto per il fine giornata, porto con me lungo il percorso due bottiglie di plastica di quelle scartate dall’utilizzo domestico. Sono tre litri di acqua che do a piccole dosi ai miei cani quando serve durante la cacciata. Mi porto nella cacciatora  anche una scodella ricavata da un pallone di plastica bucato dei miei figli. Basta tagliarlo a metà, a forma semisferica, per ottenere una scodella pieghevole a basso ingombro. Grazie a questo attrezzo di fortuna riduciamo al minimo gli sprechi.

Siamo contenti di come è andata la mattinata e speriamo che le due ore di luce che restano del pomeriggio siano altrettanto soddisfacenti. Tanto che Beppe stava dietro ai cani, abbiamo riposto i fucili nel fodero e li abbiamo sostituiti con delle belle biove di pane pugliese, due caciocavallo, due salami di Varzi, un pezzo di carne secca di cavallo e tre fiasche di vino rosso di quello buono, ovviamente Oltre Po Pavese D.O.C., data la location non potevamo fare altrimenti. Una volta imbandito il cofano del mio Land Rover iniziamo a pranzare parlando, tra un bicchiere e l’altro, di caccia, di cani, di donne, finché Pasquale non mi chiede il caffè. Apro il cassettone del mio mezzo ed estraggo il fornellino portatile da trekking alimentato a gas. Sempre dal cassettone tiro fuori acqua potabile, caffettiera, zucchero e caffè. Pochi minuti dopo il profumo di caffe si diffonde nell’aria. Metto la fiasca del cognac francese sul cofano e distribuisco a tutti una tazza di quelle da campeggio. Ognuno si serve a suo piacimento. Piccolo brindisi ai cani e alla caccia. Dopo il rituale classico e riposta tutta l’attrezzatura per bene al proprio posto, decidiamo di cambiare ambiente, dalla collina ci sposteremo sulla battigia del Po, che si trova a circa 5 o 6 chilometri da san Damiano al colle. Sulla battigia del fiume c’è possibilità di trovare altri selvatici, oltre alla minilepre che è presente in buon numero negli sporchi che si trovano nei boschetti di pioppi messi a coltura. Oltre ai trampolieri e limicoli, sarebbe bello incappare in un bel fagiano, magari un bel Germano reale. Arriviamo in una località che si chiama Ripaldina. Fuori cani e fucili e si riparte!!!!

Primo cespuglio di rovi subito bagarre!!! Partono due minilepri, una a destra l’altra a sinistra !!! Io e Salvatore tentiamo la stoccata ma sbagliamo entrambi, zio Beppe ci urla contro sfottò: “Che!! Per caso dormiamo??? Era buono il vino vero?? Acqua vi faccio bere la prossima volta, mannaia a la …………… “ inenarrabili imprecazioni … Oops !!! Capita!!! Poi ci sorride e riprendiamo la cacciata.

Rocky scagna come un pazzo, corre tra i rovi, Beppe urla: “Occhio!!! Occhio!!! Fagiano!!!!” E parte un bel maschio con tanto di “co-co co-co co-co”. Punto, lo seguo e apro il fuoco, spennata con relativo tonfo… Rocky parte al recupero, non è sceso morto ma ferito, non può andare via ma tenta di infrattarsi tra i rovi per mettersi al sicuro. Rocky raspa tra le spine e dopo pochi minuti di lavoro, in cui Beppe lo incita di continuo, esce dal roveto con in bocca un bel maschio colorato. Lo dona al suo padrone. Beppe lo prende in mano, lo alliscia, lo sistema e si avvicina a me, mette il fagiano nella mia cacciatora e mi dice sorridendo, “sveglio sta volta, bravo!!!” e ripartiamo. Il giorno finisce senza più sorprese, ancora 1 mini che Pasquale coglie di prima canna poi decidiamo di tornare a casa.

Domani è un altro giorno di caccia, questa sera, andando a dormire daremo sfogo alla nostra fantasia, sognando più che sperando un’altra avventura tra amici da mettere nella cassaforte dei ricordi e da prendere solo nei giorni in cui la tristezza fa capolino tra i nostri pensieri.

***

Questo racconto che ho scritto il 23 Settembre 2024 racconta una nostra giornata di caccia dicembrina del 2022, quando eravamo ancora tutti uniti e usciti dalla tragedia del COVID 19. Voglio dedicarlo agli amici che per anni hanno allietato la mia vita con la loro amicizia dentro e fuori il mondo venatorio, e lo voglio dedicare a Rocky il cocker di Beppe che nel 2023 sotto il peso della vecchiaia e della malattia ci ha lasciati, chiudendo un ciclo della nostra vita venatoria che mai più si ripeterà.
Stefano Casella

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