La domesticazione del cane, l’inizio di un’amicizia millenaria
"Seduto su un sasso fumi una sigaretta e accarezzi il cane; con le dita frughi nella cartuccera: levi e riponi le cartucce; le soppesi. Non viene mai il giorno! Ecco: vedi già il mirino in cima alle canne; vedi le piante, il sottobosco. Sì, eccolo il codirosso e ora anche il merlo. Ti alzi, sciogli il cane e vai" - Mario Rigoni Stern, 1962
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La domesticazione degli animali da parte dell’uomo avviene durante l’ultima fase della preistoria e, più precisamente, è uno degli elementi che caratterizzano la “rivoluzione neolitica”. Questa fase della storia dell’evoluzione dell’umanità si contraddistingue, per l’appunto, per una serie di cambiamenti radicali negli stili di vita delle antiche popolazioni. Le genti neolitiche iniziano a produrre il proprio cibo coltivando i campi. Di conseguenza si passa da un sistema basato sulla caccia e la raccolta di prodotti spontanei della terra, a uno agricolo e sedentario. I bivacchi di caccia paleolitici si trasformano in vere e proprie abitazioni. Alla sedentarietà si associa anche l’allevamento degli animali da sfruttare per fini produttivi e alimentari. Quindi tutti gli animali erbivori, al massimo onnivori, che oggi comunemente vediamo in una moderna fattoria, discendono direttamente dalle bestie sfruttate dall’uomo durante il Neolitico.
Eppure, millenni prima di questa enorme rivoluzione alcuni cuccioli di lupo, magari i più docili del branco, forse abituati ad avvicinarsi agli accampamenti umani per recuperare scarti alimentari, vengono addomesticati dai cacciatori paleolitici. Si tratta di un processo lento e non direttamente legato allo sfruttamento di un animale a scopi alimentari. Il lupo infatti è un carnivoro, un predatore simile all’uomo per abitudini e dieta che verrà addomesticato principalmente per scopi venatori.
Bisogna pensare più a una simbiosi naturale che a un vero e proprio processo sistematico di allevamento. Incontrare un branco di lupi che insegue cervi, caprioli o cinghiali, doveva essere una fortuna. Il lupo segnalava la presenza di prede certe che poi sfiancava inseguendole. Grazie alla perfetta conoscenza del territorio, bastava quindi piazzarsi lungo i punti di passaggio delle prede in fuga e colpire la selvaggina. Antichi e opportunisti postaioli. L’uomo, dal canto suo, regalava sempre succulenta immondizia accumulandola attorno agli accampamenti e al lupo bastava restare nei paraggi per racimolare un pasto facile e frugale. Tutto questo, o almeno qualcosa di simile, in Europa è avvenuto almeno 15.000 anni fa. Ma il processo avviene quasi contemporaneamente anche in Asia Orientale.
La foresta che avanza
Il processo fin qui descritto sarebbe anche frutto di cambiamenti climatici radicali. Circa 12000 anni fa, tra la fine del Pleistocene e gli inizi dell’Olocene (era geologica ancora in corso), abbiamo la fine dell’ultima era glaciale e, di conseguenza, un sostanziale miglioramento climatico. L’aumento delle temperature e una maggiore piovosità avrebbero causato l’innalzamento dei livelli dei mari e un nuovo e intenso sviluppo arboreo e forestale.
Queste radicali trasformazioni dell’ecosistema terrestre sarebbero all’origine della scomparsa di quelle specie animali non in grado di adattarsi al nuovo habitat. L’era della caccia ai grandi erbivori era finita. Il fiuto di Fido, a quel punto, divenne uno strumento fondamentale per cacciare selvaggina sempre più minuta e rintanata in ambienti boscosi. Anche il lupo, del tutto simile all’uomo per abitudini comportamentali, dieta e stile di caccia, modifica parte del suo comportamento per adattarsi e sopravvivere al nuovo ambiente. Il cambiamento è progressivo ma radicale e molti di questi canidi si abituano alla nostra specie e finiscono per diventare gli spazzini dei bivacchi umani.
In Italia
Ma è proprio nel nostro meridione, precisamente nei siti pugliesi di Grotta Romanelli (FG) e di Grotta Paglicci (LE), che i ricercatori hanno individuato i più antichi resti scheletrici di tutto il bacino mediterraneo che testimoniano la presenza di canidi in un contesto antropico.
Lo studio di questi reperti ossei ci ha svelato che i cani che frequentavano gli accampamenti dell’Italia meridionale paleolitica, erano del tutto simili a quelli che nello stesso periodo circolavano nei pressi degli insediamenti umani in Germania. Questo importantissimo dato suggerisce che la diffusione del cane nel Vecchio Continente sia partita da un unico centro, al momento per noi sconosciuto, per poi contaminare i vari nuclei di cacciatori sparsi nell’Europa (Scientific Reports F. Boschin et al: https://www.nature.com/articles/s41598-020-69940-w)
Praticamente, ad un certo punto della nostra preistoria, in un punto imprecisato di una qualche regione dell’Europa e a partire da un particolare gruppo di cacciatori raccoglitori, si sarebbe diffusa una genia di cani già da tempo abituati a condividere con l’uomo la quotidianità. Alla prova dei fatti, il primo e pionieristico gruppo di allevatori europei.
Simbolismo
Tuttavia, oltre agli aspetti prettamente pragmatici, già a partire dal Paleolitico il cane è oggetto di attenzioni che vanno ben oltre il semplice utilitarismo. Rinveniamo, infatti, tracce inequivocabili di un legame che valica il puro sfruttamento dell’uomo sulla bestia. Esistono contesti archeologici di grande interesse storico che testimoniano quanto il legame tra noi e il cane sia ancestrale e profondamente affettivo.
Presso il sito Gravettiano di Predmosti in Repubblica Ceca, nei pressi di una sepoltura umana, sono stati rinvenuti quattro crani di canidi. Uno di questi era stato deposto con un osso di mammut in bocca. Per alcuni studiosi questo ritrovamento rappresenta la prova che il cane partecipasse alle battute di caccia. Un gesto fortemente simbolico e di gratitudine. Un gesto carico di significato. Quasi un ringraziamento per l’operato di un ausiliare fedele e coraggioso.
Presso il sito tedesco di Bonn-Oberkassel un cane è stato seppellito insieme ai corpi di un uomo e di una donna. Inoltre, sia i resti dell’animale che quelli dei due individui erano stati ricoperti di ocra rossa. In questo contesto archeologico stupisce che cani e umani siano stati oggetto delle medesime attenzioni.
Nel sito preistorico russo di Shamanca è stato ritrovata la sepoltura di un cane situata nei livelli inferiori rispetto a quello delle tombe umane. Non sappiamo se si tratti di un particolare rito di consacrazione dell’area cimiteriale (cosa comunque non inusuale tra le popolazioni preistoriche). Tuttavia il dato più significativo emerso dagli studi sui resti scheletrici di questo animale sepolto, riguarda il fatto che fosse stato più volte ferito gravemente e che la comunità umana si era preso cura di lui nonostante non fosse più “utile” per scopi venatori o per la guardia.
Queste affascinanti testimonianze ci narrano quindi di un legame indissolubile e millenario tra l’uomo e il cane. Una rapporto certamente iniziato per ragioni utilitaristiche, di sopravvivenza, ma che con il passare del tempo si è consolidato fino a diventare la più bella amicizia della storia dell’evoluzione.
Complimenti a Domenico , della bellissima e chiara narrazione storica dell’uomo cacciatore coadiuvato da cani cacciatori.
Questa magnifica testimonianza dovrebbe essere divulgata nelle scuole
Anche promuovendo una campagna informativa periodica ma continuativa su : stampa, televisione ecc ecc .
con la speranza che finalmente sia percepita dal popolo e condivisa da una grande maggioranza, atta a porre fine a quei pregiudizi negativi sulla caccia.
Dai diamoci da fare…
Grazie Nanni. Bellissimi complimenti. Cerco sempre di suscitare curiosità verso l’argomento trattato fornendo qualche informazione storica di base sul contesto trattato. Spero di riuscirci.