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Stella che sorge, stella che muore 

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E finalmente giunse la tanto attesa apertura 2018/19. Il pre-stagione fu caratterizzato da diverse questioni di tipo pratico e personale che richiesero la mia particolare attenzione, molte delle quali con impegno e non poca caparbietà per poter essere risolte. Una delle più complesse fu addestrare la mia nuova cucciola, ma procediamo con ordine.

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Beppe

Due anni prima ebbi la fortuna di conoscere, in giro per i campi, zio Beppe, un signore simpatico, calabrese verace, molto alla mano e ciò che conta ancora tutt’oggi molto appassionato di caccia. Lo incontrai mentre cercavo di scovare qualche beccaccino nel mezzo di una serie di risaie che solitamente non deludevano… di solito, per l’appunto, tranne quel giorno. Giorno per altro infausto, nel quale la mia kurtzhaar Lady aveva dato segni di cedimento fisico sotto il peso dell’età, mostrandomi la dura e crudele realtà dei fatti: mi piacesse o meno era prossima alla sua fine.

Mentre portavo in collo il cane sfinito verso il margine asciutto della risaia, perso in funesti pensieri, vidi un uomo piuttosto basso sbucare da un boschetto, subito notai una canna di fucile molto lunga svettargli sopra la testa e la cosa mi fece sorridere, sembrava quasi che il fucile da caccia nel suo insieme fosse più lungo di lui, mi fece simpatia. Notò subito che portavo il cane in collo e come tutti i buoni cacciatori che non pensano solo a se stessi si avvicinò mostrando subito solidarietà. Mi salutò con un caloroso buon giorno e mi chiese se il cane fosse ferito e se avessi bisogno d’aiuto. Gli risposi salutandolo, che il cane non era ferito affatto tranne che nell’anima, ferita inferta dall’età e che nessuno in nessuna maniera avrebbe potuto mai curare. Realizzò dopo le mie spiegazioni che niente era possibile fare per alleviare la sofferenza del cane e mentre affrontava questo triste argomento si materializzò tra i suoi piedi un bellissimo Cocker color miele, della qualità detta testa di leone, vispo come pochi, che si avvicinò per annusarmi. Si chiamava Rocky. Beppe insisté per aiutarmi, non potendo prestare alcuna cura al cane volle a tutti i costi condividere le mie fatiche, a nulla valsero le mie poco convinte proteste, poggiai Lady al suolo che sembrava per fortuna riaversi pian piano, quindi, la prese in braccio dopo aver sistemato per bene la tracolla del suo strano fucile in modo che non gli desse noia camminando e partimmo. Con un paio di tappe e relativi cambi di portantino, giungemmo alla mia macchina.

Durante il nostro lento e faticoso incedere trovammo il tempo, ed il fiato soprattutto, per presentarci a modo, mi disse di essere un contadino calabrese e di essere migrato a Como negli anni ’80 perché aveva trovato un buon impiego in un’industria tessile. Mi spiegò che cacciava in “Pianure Milanesi” perché negli ambiti comaschi c’era poco spazio disponibile in proporzione alla tanta pressione venatoria e che si sentiva soddisfatto della sua scelta perché finalmente poteva godere di spazi aperti più ampi, senza dover incontrare altri ad intralciare la sua giornata di caccia. Io non da meno raccontai un po’ di me, e mentre lo facevo mi accorsi che con quest’uomo, nonostante ci fosse una sostanziale differenza culturale, mi sentivo stranamente in sintonia. Tra una chiacchera e l’altra riuscii comunque a caricare il cane e a riporre il fucile nel fodero, lo ringraziai quindi per l’immensa cortesia dopo di che ci salutammo.

Seduto sul mio fuoristrada, pochi attimi prima di partire mi capitò d’intravederli attraverso lo specchietto retrovisore camminare lungo un argine… ad osservarli mi tornarono in mente fotogrammi di Lemmi e altrettanti dipinti di scene di caccia visti sulle tante riviste di settore, o sulle bancarelle dei “Robivecchi“, quei cari dipinti che raffiguravano un tempo in cui il cacciatore era ben considerato tanto da essere dipinto e messo in bella mostra nelle case della gente. Se fossero stati uno di quei dipinti li si poteva intitolare “L’archetipo della caccia“. Non a caso mi richiamarono alla mente un’atmosfera da San Martino del Carducci… come recitava? Pian piano assorto nel tentativo di ricordarlo mi tornarono alla mente quei versi:  

“La nebbia a gl’irti colli
piovigginando sale,
e sotto il maestrale
urla e biancheggia il mar;

ma per le vie del borgo
dal ribollir de’ tini
va l’aspro odor de i vini
l’anime a rallegrar.

Gira su’ ceppi accesi
lo spiedo scoppiettando:
sta il cacciator fischiando
sull’uscio a rimirar

tra le rossastre nubi
stormi d’uccelli neri,
com’esuli pensieri,
nel vespero migrar.”
 

Le parole riaffiorarono dal profondo della memoria dove giacevano da infinito tempo, da quando una maestra di scuole elementari la lesse ad alta voce e la fece imparare ai suoi alunni per compito… Parole magiche a cui oggi posso finalmente dare un senso e un significato e capire la grande fortuna che da ragazzino mi era mi ignota, di essere nato in un paese che ha dato i natali a poeti ed artisti invidiati da tutto il mondo e che riescono a pieno a raccontare con molta semplicità la malinconia che languisce l’animo di noi cacciatori, quella tipicità che ci rende spesso incompresi al mondo esterno ma che ci permette di comprendere… probabilmente… noi stessi. E credetemi, non è cosa da poco. 

Fu in quel mentre che feci un pensiero forse strambo. Ebbi l’impressione che quello non sarebbe stato il nostro ultimo incontro, non immaginavo minimamente che quell’uomo gentile, sarebbe da lì a poco diventato uno dei miei migliori amici, nonché compagno di caccia. 

Pasquale e Bruno

Passò all’incirca un buon mese e più o meno sempre nella stessa zona, inaspettatamente, lo incontrai di nuovo: “Bravo il mio vecchio Ste”, pensai, “il tuo istinto non si sbagliava”

Questa volta era accompagnato da suo Nipote Pasquale, un giovane prestante, atletico, simpatico e molto promettente. Mi riconobbe subito. Si avvicinò e mi strinse la mano con un bellissimo sorriso e il classico calore che caratterizza le genti del Sud Italia. Mi presentò subito il nipote e mi chiese del cane. Purtroppo, pochi giorni prima di quest’episodio la fiamma flebile di Lady si era spenta sotto il peso del tempo e della malattia, per cui con non poco sforzo a causa del fastidio che mi procurava la perdita di quel cane, dovetti per cortesia raccontarlo. Vidi comparire nei suoi occhi, fino a quel momento accesi e brillanti di gioia di vivere, un’ombra di tristezza. Non tutti, purtroppo, ma tanti cacciatori amano i cani in generale, oltre che ovviamente i propri, per cui dopo quella notizia si addolorò non poco. Questo lascia trasparire una parte importante della caratura di quest’uomo.

A differenza della volta precedente, quel giorno stava cacciando con i setter inglesi del Nipote, un maschio e una femmina blue belton, rispettivamente di nome Tango e Ambra. Sapendomi senza cane mi invitarono a cacciare con loro ed io accettai. Quel giorno, in quel momento, nacque la nostra grande amicizia.  

Cacciammo tutta quella stagione e quella successiva consolidando il nostro rapporto d’amicizia sia a caccia che nella vita di tutti i giorni, coinvolgendo anche le nostre famiglie. Fu così che conobbi Bruno, un cugino di Beppe, un ragazzo di circa 30 o 35 anni appassionato beccacciaio in quel dei monti bresciani dove viveva e lavorava. Fu questa conoscenza che mi avvicinò con entusiasmo al mondo del Setter inglese. Bruno e Pasquale mi guidarono sapientemente verso la passione per questa razza, strappandomi ai continentali tedeschi e trasmettendomi l’entusiasmo per un obbiettivo di interesse comune, cioè una selezione mirata a creare cani sempre più belli e performanti nella caccia della beccaccia secondo il loro punto di vista. Da sempre ho studiato le razze inglesi perché tremendamente affascinato dalla loro eleganza, ma mi era mancata la spinta finale per compiere il passo. Spinta che trovai finalmente grazie a loro. Fui completamente rapito dalla loro convinzione, anzi consapevolezza di doverci provare a tutti i costi, quasi come se fosse un tributo dovuto, alla stregua di un compito da dover assolvere a tutti i costi come se non ci fosse un domani. 

Coel

Il passo successivo dopo aver compiuto mentalmente il grande passo fu l’acquisto del cane. Giunse così a casa mia il primo setter inglese dopo 30 anni di affezionato impegno verso il bracco tedesco. Arrivò tramite un amico comune di nome Andrea, titolare dell’affisso “Della tipica Alpina”, un Angelo a quattro zampe di nome Radentis Coel. Una bellissima signora bianco fegato di 7 anni che in breve divenne un membro a tutti gli effetti della nostra famiglia.

Completamente allo scuro del come si gestisce un setter inglese, sia esso adulto che cucciolo decisi che era meglio cominciare con un cane già maturo, possibilmente femmina perché più docile e meno impegnativa di un maschio, oltre tutto era di carattere angelico e coccoloso, per cui i bambini, da subito amandola, la soprannominarono affettuosamente “Nonna Coel”, perché vivendo libera in casa con noi accudiva con apprensione il mio terzo genito, Samuel, che allora aveva solo due anni e che scorrazzava per casa in completa libertà infilandosi continuamente e senza ritegno in situazioni pericolose, come fanno tutti i bambini di quell’età. Non fu raro, infatti, in quel roseo periodo, vedere Samuel avvicinarsi alle scale di casa con dietro Nonna Coel che lo scacciava dal pericolo a colpi di muso, e non furono pochi né isolati gli episodi in cui Coel assunse il ruolo di tata, strappandolo dalle situazioni limite con i denti infilati nei pannolini.

Venatoriamente parlando trattavasi di una setter poliedrica a tutti gli effetti, abituata sin da cucciola a cacciare sui monti la Tipica Alpina, in pianura con me iniziò a cacciare il beccaccino, direi con profitto nonostante non fosse una specialista e soprattutto non fosse abituata all’acqua, senza trascurare quaglie selvatiche, che da noi si trovano in apertura, e fagiani, che salvo qualche raro esemplare di parco erano quasi tutti di ripopolamento. Per fortuna in collina le beccacce non sono mai mancate perciò continuò a trovare questi animali con buona costanza regalandomi molteplici soddisfazioni.  

Trattandosi di un cane comunque adulto e di mezz’età, pensammo che un cucciolo sarebbe stato opportuno perché avrei avuto tutto il tempo necessario per addestrarlo mentre Coel mi avrebbe nel contempo garantito la possibilità di uscire senza perdere opportunità buone per cacciare per mancanza di ausiliari. Pasquale e Bruno vollero tentare un incrocio di due correnti di sangue ben distinte e mi proposero il progetto. Si trattava di accoppiare un maschio della Tipica Alpina di nome Kevin, Nipote di Coel, con la femmina che aveva Pasquale, Stephanensis Ambra. Da questa unione nacque Asia, la mia attuale compagna di caccia protagonista suo malgrado di questa storia. 

Asia

Nacque in gennaio, nei primi giorni dell’anno, a casa di Pasquale a Como. Era l’unica Orange Belton della cucciolata, il mio colore preferito. Gli altri cuccioli erano invece Blue Belton oppure tricolore, ossia bianchi e neri con le caratteristiche fiamme arancio sul muso, questa varietà di manto e conosciuta anche come Laverack, in onore dei cani di Ser Edward Laverack il primo allevatore che raffinò la razza del setter inglese attorno al 1838. 

Giunse in quel Di Casorate Primo, il mio paese natale dove vivo da sempre, nei primi giorni di aprile dopo essere stata svezzata. Si dimostró da subito un soggetto indipendente con un buon carattere anche se piuttosto zuccona e leggermente refrattaria alla disciplina.  

La primavera era già esplosa, non volli perdere tempo così colsi subito l’opportunità di sfruttare le belle giornate soleggiate per iniziare a lavorare sulle basi dell’addestramento, partendo “dal terra” per finire con “al piede”. Contrariamente alla prima impressione che ebbi di lei, fu molto rapida ad apprendere dimostrando un’intelligenza molto pronunciata. Rimasi oltremodo positivamente colpito dalla facilità con cui cadeva in ferma quando, con una vecchia canna da pesca, le mettevo davanti al musetto biricchino un fagotto fatto di penne di fagiano legate ad un filo, nel mentre fantasticavo e speravo sinceramente di aver trovato il cane giusto per partire.

Giugno, dopo due mesi di lavoro intenso la portammo per la prima volta nelle stoppie di frumento per farle prendere confidenza con terreni più naturali, sicuramente molto diversi dai comodi prati delle zone di addestramento cani a cui si era abituata nei mesi precedenti, sperando che incontrasse qualche animale selvatico, o quanto meno che ci somigliasse, per vederne la reazione. La sciogliemmo. Fummo fortunati io e Pasquale quel giorno. Arrivate da chissà dove, nelle stoppie di frumento appena tagliato si sentivano cantare le quaglie! Entrambi restammo di stucco, ci guardammo rapidamente negli occhi comprendendoci a vicenda: “O la va o la spacca!!!”, se sarà un cane da caccia valido o meno lo si sarebbe visto forse quel giorno….

Come succede sempre quando si lavora con i cani l’inizio della giornata è una sorta di risveglio muscolare per il cane che parte con una breve corsetta isterica di qualche minuto espletando nel mentre le sue normali funzioni biologiche, ovviamente al di fuori delle stoppie di nostro interesse nonostante il nostro desiderio fosse appunto quello che ci entrasse, ancora pochi attimi di euforia e partì con la cerca tipica del suo standard. Entrò finalmente nella stoppia desiderata e neanche a dirlo, passò di fianco alla prima quaglia sfrullandola. Appena la vide volare via, presa dall’eccitazione del momento, la rincorse come una pazza sfrullandone altre due senza fermarle. Inutili parvero i miei richiami per ricondurla alla ragione. Per 10 minuti si scatenò come una pazza correndo ovunque. Per fortuna non involò altri animali. Riuscii a farla rientrare dopo 10 buoni minuti di richiami continui e a metterle il guinzaglio per tenerla ferma e calmarla. Dopo circa mezz’ora, passata in auto, valutato il suo stato di eccitazione esorbitante, decidemmo di rientrare a casa. La settimana successiva accadde più o meno la stessa cosa, solo stavolta parse essere più cauta anche se sfrullò animali senza fermarli. Sperando in un migliore comportamento, la terza domenica, decidemmo di portarla fuori di mattina presto per farle assaporare meglio le passate fresche della notte.  Eravamo scettici in merito e temevamo in un grosso buco nell’acqua, cosa che capita a chi seleziona cani da caccia, eravamo quasi persuasi che sarebbe stato nuovamente tempo perso, ma nonostante questi cupi pensieri sciogliemmo comunque la setter.  Corse all’impazzata per circa dieci minuti, dopo di che entrò nelle stoppie dove c’erano le quaglie in pastura, o almeno noi ci speravamo, esprimendo una buona cerca, ovviamente rapportata alla sua esperienza, e alla sua età, tenendo la testa alta senza fiutare il terreno, cosa che non fa il 99 % dei cuccioloni. Osservandola prendere terreno pian piano e crescere in sicurezza mi rallegrò non poco la giornata che raggiunse il suo apice pochi attimi dopo, quando avventata un’usta si bloccò in ferma di colpo. Io e Pasquale trattenemmo il fiato. Mi avvicinai per metterle il guinzaglio a strozzo e tenerla corretta al frullo, ma la quaglia si involò. La cucciolona la rincorse con entusiasmo ma dopo averla vista volare in direzione incerta, al primo colpo di fischietto desistette dall’inseguirla e senza dovermi sgolare per richiamarla rientrò subito. Entusiasta volli riprovare. Stessa situazione stesso risultato. Tornai a ben sperare per il futuro. 

Luglio e agosto lo passammo in varie zone c alternandole a brevi comparse presso il tiro a volo vicino a casa, visite mirate ad abituare il cane al rumore delle fucilate, li se ne sentono tante e si riesce ad abituare bene i cani a questi forti rumori.  

Arrivò l’apertura della stagione. 

Era un buon settembre. Non a caso c’erano stoppie di grano, malto e orzo a perdere, con una buona umidità di contorno che avrebbe facilitato il reperimento delle passate. Durante le due settimane precedenti, sul far della sera girando per stradelli in campagna con la bicicletta per avere un’idea certa sulla situazione del territorio, si sentivano cantare quaglie un po’ dappertutto e questo non succedeva da qualche lustro, almeno dagli anni 80 quando cominciarono ad apparire le grandi monoculture intensive di granoturco e riso ancora oggi presenti, che ridussero pian piano negli anni l’habitat idoneo a questa specie. Ero entusiasta!! Passavo ore infinite al telefono con Pasquale e Beppe perché mordevo il freno, volevo vedere il mio cane all’opera in una vera azione di caccia.  

L’apertura 2018/2019, a quaglie

Ci trovammo di buon’ora, ci fermammo a prendere il caffè al Bar 70, storico caffè del paese oggi chiuso a causa della crisi post COVID 19, erano le cinque del mattino. Franco da dietro il bancone faceva il tifo per noi, ci servi i caffè con l’augurio di tornare vincenti. 

Quel giorno la squadra era al completo, io Beppe, Pasquale e Salvatore, un nostro amico siciliano che per conoscenze comuni entrò a fare parte in modo permanente della nostra squadra. Io ero l’unico dei quattro che non aveva mai fatto un’apertura alle quaglie, nelle loro rispettive regioni, la quaglia in apertura, è da considerarsi tradizione talmente radicata al punto che si può tranquillamente interpretarla come vangelo, io “polentone“ abituato alla stanziale, non sapevo da che parte girarmi .  

Gli ausiliari presenti erano tutti i cani da ferma che avevamo in serraglio io e Pasquale: c’erano Tango, Ambra con le due figlie, Bianca e Asia, e nonna Coel.  Se le due cucciole avessero fallato per inesperienza o inadempienza gli adulti avrebbero riportato la situazione in equilibrio a nostro vantaggio. Di certo c’era in campo molta qualità.  

Ci dividemmo a coppie, io e Salvatore sulla fila di campi a sinistra, Beppe e Pasquale su quella di destra.  

Lasciai Coel in macchina per vedere come si sarebbe arrangiata Asia nel suo primo vero giorno di caccia cacciata. La setter iniziò a muoversi galoppando e compiendo lacet non molto ampi sui 50/70 metri, perlustrando bene il terreno davanti a se. Il fatto che non aprisse di più la cerca era da imputare giustamente alla scarsa esperienza dovuta alla giovane età, ma già si intravedeva un’ottima presa di punto, una buona sintonia col terreno, un ritmo di galoppo costante e un naso che iniziava a cercare emanazioni nel vento. Passarono alcune decine di minuti, osservando assorto il cane in cerca venni riportato alla realtà dalla prima fucilata del giorno, il rumore era inconfondibile, il vecchio trombone di Beppe dalla lunga canna aveva tuonato nella Val Padana. E pochi secondi dopo sentimmo Pasquale gridare “Tango Portaaaa! To’ qui Tango!!! Porta, porta!!!” Tango raccolse la prima quaglia della stagione e la riportò al suo padroncino tutto felice. 

Noi nulla… proprio nulla … ”vedremo nella prossima campagna se c’è giù qualcosa”, pensai. Mentre lo facevo mi accorsi che mi stavo innervosendo, tale e quale ad un bimbo viziato e capriccioso che vuole un giocattolo e la mamma glielo nega. Altra fucilata e ancora Beppe a segno. 

Iniziai a bestemmiare dentro di me trovando iniqua la sorte. Possibile che sempre a me doveva capitare la sventura? O miscredente! Pochi attimi dopo la setter fermò qualcosa. La vidi tesa nervosa, respirare ritmicamente dal naso, guardando con la testa alla sua sinistra. Andai a servirla dopo aver chiesto a Salvatore di coprire un lato, era fondamentale colpire la preda a tutti i costi, se ci riuscivamo il cane era fatto. Camminai il più silenziosamente possibile. Quando fu sicura di avermi dietro di lei fece un primo passo, poi un secondo e un terzo con fare molto felino e predatorio, al punto che si piegò sulle zampe quasi ventre a terra. Assumendo questa postura il cane comunicava a noi cacciatori la presenza certa del selvatico. È grazie a questa postura che la razza porta tutt’oggi il suo nome. Setter è una derivazione del vocabolo inglese “Sitting”, liberamente tradotto in “seduto”. Imbracciavo in quell’occasione il mio fido semiautomatico Beretta modello A 390 ST calibro 12, una macchina perfetta che non mi aveva mai tradito. Mi trovavo dietro al cane, Salvatore a circa 20 metri sulla mia sinistra, l’animale doveva trovarsi pochi metri davanti al tartufo del cane. Incalzai Asia che caricò. La quaglia partì verso destra, il cane la seguì, appena fu abbastanza alta imbracciai il fucile la puntai, la seguii ed esplosi il colpo. L’animale colpito cadde nella stoppia, il cane, che si trovava dieci o quindici metri dietro di lei, si avventò come una furia sulla sua spoglia, l’abboccò, la strinse, scosse la testa come per ucciderla una seconda volta, sembrava che quasi la odiasse, mentre in realtà fu semplice espressione dell’istinto predatorio. Le lasciai alcuni minuti per esprimere tutta la sua avidità di selvatico, tutta la sua ferocia, le lasciai tirare fuori l’istinto ancestrale e primordiale di cacciare per procurare il cibo per se e per i propri cuccioli. La chiamai ordinando “il porta”. Si giró verso di me con quegli occhi ancora feroci, che si raddolcirono in pochi attimi e vidi che la coda scodinzolava esprimendo tutta la sua felicità nel dirigersi verso di me che l’aspettavo in ginocchio col palmo della mano aperta per ricevere il suo dono. Quando giunse davanti a me lessi nel profondo dei suoi occhi tanto amore nei miei confronti che mi fecero sentire indegno di cotanta purezza. Mollò la quaglia sulla mia mano e mi porse il suo capino in attesa di una carezza. Gliela diedi e mi sentii subito bene, era stato tutto bellissimo, solo una piuma sul suo labbro e la quaglia morta nel mio palmo mi ricordavano che non si trattava di qualcosa di così tanto tenero ed innocente. 

Ripartiamo alla ricerca di altre quaglie. Ero felice e soddisfatto di come il cane era venuto fuori e di come si era comportato fino a quel momento, tutto ciò che vedevo di negativo nel suo modo di cacciare alla fine mi sembrò poco più che qualche difetto superabile con l’esperienza, dopo tutto era una cucciolona di circa nove mesi, non potevo pretendere che cacciasse come un cane adulto di quattro o cinque anni. Intanto Asia stava lavorando e piuttosto sodo. Stava per chiudere un lacet che avventò qualcosa che la bloccò spasmodicamente in ferma, manco fosse un pointer dei “tempi d’oro”. Salvatore si trovava più vicino e andò lui a servirla, appena fu pronto esortò il cane che involò la quaglia che cadde di prima canna sotto il Benelli Raffaello. Riportò la quaglia in modo piuttosto grossolano a Salvatore che con soddisfazione la incarnierava e marcava il capo sul suo tesserino. Quel mattino incontrò ancora 4 quaglie che incarnierammo sotto ferma e ne sfrullò 3. Beppe e Pasquale ne incarnierarono 11. Anche loro erano soddisfatti del lavoro di Bianca. Tango, il buon vecchio Tango, fu indiscutibile come sempre, vederlo in consenso fu per Pasquale la prova certa delle qualità della sua giovane stella nascente.

Era quasi mezzo dì, il caldo si faceva già sentire, i cani avevano tre spanne di lingua a penzoloni, per cui decidemmo di caricarli in auto, che lasciammo parcheggiate preventivamente sul bordo di un bosco all’ombra delle fronde degli alberi. Versammo acqua nelle loro ciotole e li lasciammo riposare mentre comparirono sul cofano del mio fuoristrada salami, cacciatorini, cacio cavallo, soppressata, pane e una bella fiasca di vino rosso ancora fresco che Beppe aveva messo in una borsa e immerso nelle acque correnti di un piccolo canaletto irriguo. Brindammo alla caccia, all’amicizia e ai cani, soddisfatti di quell’esperienza, di quel primo giorno di caccia e di tante altre cose. Io mi sentivo sereno, un nuovo ciclo di avventure mi aspettavano con i miei nuovi cani, e ce ne furono di belle negli anni seguenti.  

La signora dei monti

Ad oggi nel momento in cui scrivo, Maggio 2024, Asia è un cane adulto e formidabile, ha fatto esperienza negli anni ed è maturata in modo esponenziale, ha conosciuto strada facendo Vega di Val di Chiana, ed è nata Kira, una Orange Belton ancora più stupefacente della madre. Il 27 Ottobre 2023 sotto il peso degli anni tra le mie braccia si è spenta Coel, aveva 14 anni.  Ho pianto, ho pianto a lungo prima di trovare il coraggio di seppellirla sotto il mio ciliegio con una lapide che riporta l’epiteto:  “LA SIGNORA DEI MONTI” . Quel pomeriggio, stanco e nervoso, con Kira ed Asia sono andato a beccaccini. Li ho trovati e li ho incarnierati, per tutto il pomeriggio non ho mai smesso di piangere. 

Trovo conforto nel pensarla cucciola e felice che corre sul ponte dell’arcobaleno verso bianche sponde e verdi praterie. Di tutti i miei cani conservo un ricordo indelebile, di lei porterò sempre nel cuore il suo immenso amore verso la nostra famiglia. 

Quest’anno non ci sarà più la mia “vecchietta” ad accompagnarmi per i boschi e i campi, mi mancherà moltissimo, le sono inoltre grato perché mi ha lasciato una grande eredità, il suo sangue, sangue che scorre dentro le vene dei miei “diavoli bianchi” come li ha ribattezzati mio padre. Sono sicuro che non mi deluderanno e mi faranno sognare come Coel fece nelle stagioni passate vissute assieme in cui loro non furono da meno. Spero solo che la mia penna sia degna e in grado di raccontarvi le loro epiche gesta, unico modo che ho trovato per rendere loro l’onore che meritano, tenendone vivo il ricordo e imprimendo sulla carta la formula magica della loro immortalità.

Ai miei cani, a loro soltanto, voglio dedicare questo scritto. È solo grazie a loro che io posso vivere un sogno chiamato caccia. La sorte non gli consente una vita lunga pari alla nostra e quando purtroppo giungono in fondo al loro cammino e si spengono, con loro si spegne inevitabilmente una piccola parte di me. 

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