Un giorno di ordinaria quotidianità venatoria
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Giunge l’ora di levarsi dal letto. Apro la finestra che dà sui campi e le imposte, che separano il tepore della camera da letto dal fresco di un mattino di Ottobre.
Le campane lontane del paese battono le 05:00
Una leggera foschia vela intimamente il mondo e lo cela ai miei occhi. Pare nascondere una pudica nudità come fa una novella concubina al suo primo atto amoroso. Una volta sceso dal letto, passo davanti alle camere dei bambini, sono nascosti ognuno sotto le coperte e sognano… Chissà poi cosa… Forse bucanieri, forse astronauti o forse avventure con qualche strano essere vivente che si vede spesso nei moderni cartoni animati, sono bellissimi quando dormono perché li puoi osservare senza produrre in loro fastidi ed emozioni e ne apprezzi a pieno i lineamenti che difficilmente potresti osservare a lungo se ben vigili, questi ultimi poi, coi loro repentini cambiamenti, mutano giorno dopo giorno un bambino in un uomo e mentre ti soffermi su questa logica ferrea inizi a sentire il tempo che passa inesorabile e ti rassegni mestamente alla sua continuità.
Scendo le scale, apro lo sgabuzzino dove tengo tutta la mia “roba da caccia”. Mi preparo e accendo il camino. Metto la moca a bollire sul sasso, la stessa che mia moglie ha preparato diligentemente ieri sera prima di andare a letto. Mi sento osservato, dovrei sentirmi a disagio ma in realtà mi rende vanesio, perché si è svegliata ed è scesa in sala, si accoccola sul divano coprendosi con una vecchia coperta di lana. Le piace osservarmi mentre mi adopero per terminare le mie faccende, finge di dormire per rimediare un bacio che poi le darò, prima di uscire, lo faccio sempre. Sapendo che finge di dormire è ancora più divertente fingere a mia volta la parte dell’allocco in amore. Intanto sale il caffè. Il tramestio di tazzine e la luce accesa in cucina hanno messo sul chi vive i cani che nel serraglio aspettano con ansia di vedere cosa farò nei prossimi minuti. Il primo sorso di caffè scende come un fiume in piena. Finisce. Ne bevo un’altra tazza. Prendo la doppietta Purdey a cani esterni, la cartucciera di nonno ed esco dall’uscio, il vecchio cascinale di famiglia che ho fatto rimettere a posto pare mi parli di come 100 anni fa un altro me stesso faceva la stessa cosa. Mi infilo gli stivali a tutta coscia stando sotto al portico, e li ripiego al ginocchio per poter guidare con più agio. Intanto dai serragli arrivano le prime uggiolate, e i mezzi latrati iniziano a farsi sentire. Quando mi scorgono i guaiti diventano frenesia e man mano che mi avvicino vera e propria cagnara. Sembra quasi di sentire i loro muscoli e i loro tendini che si tirano e si contraggono per la bramosia della caccia. Zisu salta, Tatanka scagna, Zara uggiola, Freja sapiente freme … Lady invece torna a dormire, si gode la vecchiaia e la pensione. Uno solo di loro resta calmo, uno su tutti, di quella calma innaturale quasi umana, la calma di chi pare conosca l’inimmaginabile e i suoi arcani segreti, mi guarda con occhi seri, duri ma pieni di affetto… Lui sa che oggi il giorno sarà nostro… Lui sa che non c’è possibilità di errore.
Verso le risaie
Apro il cancello, Thor esce, nella sua mascolina imponenza di kurzharr e si ferma al mio ginocchio. Chiudo il serraglio. Lo guardo, gli indico il fuoristrada del quale ho già provveduto ad aprire il portellone e lui pian piano con lenta consapevolezza si dirige verso il veicolo ed entra nel maxi trasportino … Così come ha imparato da cucciolo, non servono parole, quelle le lasciamo ai cinofili da bar, noi ci capiamo parlando con gli occhi, sappiamo qual’ è il nostro lavoro e lo sappiamo fare bene, inutile tergiversare, a casa come in campagna il nostro obbiettivo è fare le cose fatte bene.
Carico il resto di quello che mi serve e si parte, in fine, verso le risaie allagate da giorni di piogge. Quelle risaie che ci hanno visto tante volte vincenti e ancor più volte sconfitti, in quell’ eterno ripetersi di storie vissute e rivissute che si chiama caccia. Le anatre chiamano lontano nella foschia che si genera dal fiume Azzurro, poco distante, di cui si sente il gorgoglio sui sassi distintamente nella nebbia. Non siamo qui per loro, almeno non oggi. Fa fresco e ciò nonostante non rinuncerei mai e poi mai a questo preciso attimo, nemmeno per tutto l’oro del mondo. Carico la doppietta e lascio libero Thor, è dunque giunto il momento, come altre 1000 volte in passato, di iniziare a giocare la nostra partita. E’ il principio di un nuovo sentiero immaginario tracciato dal destino che ci porta verso l’ignoto. In cerca di un animale, di quell’animale, il beccaccino in particolare perfetto di contesto e di occasione, che non troveremo mai e se qualora lo trovassimo non saremmo comunque in grado di riconoscerlo. Se non vi è chiaro questo concetto chiedetelo a un cacciatore, uno qualsiasi, vedrete che capirà subito e vi sorriderà.
Assaporo ogni boccata di nebbia che respiro, mi sento parte di un mondo da cui il genere umano si è ormai avulso, discostato, contrariamente invece lo cerco, lo bramo per ritornarci a pieno nel momento fatidico in cui l’atto sacrale del colpo di fucile sarà nuovamente il termine dell’archetipo dramma della vita e della morte. Perché con la maturità degli anni e delle esperienze ho imparato il significato del togliere la vita a un essere vivente, dal più maestoso dei cervi alla più umile delle quaglie spegnere una vita è una grandissima responsabilità, che oggi molti hanno dimenticato dimenticando se stessi, dimenticando di essere stati in un tempo lontano cacciatori per fame, di aver fatto in quel tempo parte del circolo della vita e di aver contribuito a far funzionare il naturale ordine delle cose.
Thor cade in ferma…
Di nuovo la sorte mi sceglie come protagonista per decidere l’epilogo dell’odierno dramma, c’è di nuovo in gioco la sopravvivenza di uno o più creature. Chi vincerà? Servo il cane, col motriglio che mi arriva alle ginocchia, sono in affanno in virtù del fatto che camminare freneticamente in preda all’emozione nelle stoppie di riso intrise di acqua piovana è sfiancante, e mentre filosofeggio tra me e me vado deciso per la mia strada.
Giungo a due passi dal cane.
Ho il fiato grosso.
Bestemmio tra i denti.
Lo incito a incalzare il selvatico per farlo involare.
Il cane forza, il selvatico parte.
Esplodono in volo inaspettatamente due beccaccini.
Imbraccio il fucile punto e seguo i bersagli, anticipo la canna e sparo il primo colpo e poi il secondo. Il cane è corretto al frullo, vede il selvatico cadere quindi scatta nel riporto e poco dopo rientra con un beccaccino tra le fauci. Me lo dona sul palmo della mano, in modo delicato come se fosse una piuma. Lo guardo, lo accarezzo per rassettargli le piume e lo ripongo nella cacciatora. Guardo il cielo.
Sì, sono felice
Riflettendo col senno di poi, su tutta la giornata finita di lì a poco per via della pioggia lasciandomi la voglia matta di tornare sullo scolopacide da motriglio, mi rendo conto di essere in fondo felice, si io sono felice, sono felice perché ho vissuto una nuova giornata di caccia, sono felice perché sono un fortunato, quando arriverò a casa troverò mia moglie, che danzando per la cucina sopra pensiero, accorgendosi di me, mi saluterà con un bacio ed un sorriso. Guarderò i bambini e penserò a me quando avevo la loro età e mi veniva insegnata la caccia e penserò di conseguenza a come iniziarli a mia volta alla pratica venatoria. Spero di esserne capace, ma anziché lasciarmi incupire da domande che difficilmente avranno preventiva risposta, mi faccio rallegrare dal pensiero che la vita è bella e va vissuta, fatta di un infinità di piccole cose, a cui non fai quasi mai caso ma se cerchi bene e guardi con i giusti occhi sai che in fine apprezzerai, sopra tutto quando vivi giorni come questo… Giorni di ordinaria quotidianità venatoria.
Egregio Signor Sparnanzoni, io la ringrazio sentitamente, non avrei mai pensato di leggere un commento nel quale nomi come Barisoni, Ugolini, Rigoni Stern e Tombari potessero comparire in relazione ad un mio scritto, forse che abbia imparato da loro a scrivere tanto quanto a cacciare??? Il fatto solo che glieli abbia ricordati di per sé è un grandissimo onore, immeritato e soprattutto insperato. Durante tutto il corso della mia vita ho dedicato alla letteratura infinite ore preferendola al cinema perché la considero più intima, più personale, in quanto essa ha sempre lasciato ampio spazio alla mia fervida immaginazione, dandomi la possibilità di creare ogni volta un mondo tutto mio, il cinema seppur affascinante, ti conduce in un mondo parallelo costruito da qualcun’altro. Il mio scopo quindi è quello di riuscire a trascinarvi tutti nel mio mondo rendendovi partecipi di esso con soddisfazione e quando ci riesco per me è una vittoria.
Ringraziandola cordialmente
Stefano Casella
Bravo, bella prosa poetica, ricca di sentimenti emozioni e immagini familiari a tutti i cacciatori.
Lo stile è semplice e apprezzabile, il lessico fresco e radicato nella migliore tradizione venatoria e
riscontrabile, con sfumature diverse, nei racconti dei vari Ugolini, Rigoni Stern, Barisoni, Tombari.
Consiglio di scrivere brevi racconti, quasi come un diario di caccia, farli stagionare, depurarli da
eventuali imprecisioni e ripetizioni, per farne una pubblicazione per i cacciatori e per gli appassionati di letteratura venatoria.
Sono a tutti voi rivonscente per le belle parole e l’incoraggiamento che mi date, sarà uno stimolo nel continuare a scrivere di caccia, sulla caccia, per la caccia, un sentito grazie di cuore.
Stefano Casella
Bel racconto. Soprattutto l’esternazione dell’amore verso i figli e la famiglia, che mai abbandona il vero cacciatore anche quando sta fuori casa intere giornate ad inseguir selvatici. Bravo chi ha scritto.
Fantastico… complimenti per come e per quello che scrivi… veramente un piacere leggerti!!! Augusto
Grazie di averci fatto partecipi di tanta emozione.grazie