Allevamenti di selvaggina: istruzioni per l’uso
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La premessa indispensabile quando si affronta il problema dell’allevamento di selvaggina destinata al ripopolamento è che questa opzione non si può e non si deve sostituire alla gestione delle specie di interesse venatorio. Il compito dei cacciatori è quello di conservare ed incrementare le popolazioni selvatiche e non sostituirle temporaneamente e fittiziamente con soggetti allevati in cattività.
Detto questo avremo ancora bisogno dell’allevamento di fasianidi per creare un piccolo surplus per sostenere il prelievo venatorio, per fini cino-tecnici e per reintrodurre specie localmente estinte o estremamente rarefatte come la starna e la pernice rossa. I ripopolamenti inoltre per avere un senso devono far parte di un progetto complessivo di recupero faunistico basato sulla gestione dell’habitat e sulla programmazione del prelievo.
I problemi della selvaggina allevata
Purtroppo però sappiamo che non ci possiamo aspettare grandi risultati dagli animali allevati in modo intensivo anche quando viene effettuato l’indispensabile periodo di ambientamento in strutture idonee come i recinti a cielo aperto. I motivi di questo fenomeno sono diversi e spesso intrecciati fra loro. Proviamo a fare un po’ di chiarezza tenendo conto che è inevitabile fare una certa schematizzazione.
La genetica
Innanzitutto c’è un problema di genetica. L’allevatore più o meno consapevolmente tende a selezionare soggetti che ben si adattano all’allevamento che sono quelli più docili e meno timorosi dell’uomo. Quelli di indole più selvatica, che fuggono di fronte all’uomo o ad un pericolo, subiscono un maggiore stress in cattività per cui tenderanno ad essere scartati dalla riproduzione perché meno produttivi. Possiamo dire che l’allevamento comporta sempre un certa domesticazione e quindi una perdita di selvaticità.
Genitori naturali e ambiente di allevamento
Un altro aspetto fondamentale, ancora più decisivo del precedente perché ha un effetto più immediato, è che nell’allevamento intensivo i fasianidi sono allevati in assenza dei genitori naturali, ossia le uova vengono incubate artificialmente ed i pulcini allevati da madri artificiali che non sono altro che lampade riscaldanti.
L’assenza di un modello comportamentale rappresentato dalla madre (fagiano) o da entrambi i genitori (pernici e starne) ha profonde conseguenze sui pulcini di queste specie. Il comportamento anti-predatorio ad esempio è solo in parte innato e deve essere attivato dall’esempio degli adulti. Notoriamente i galliformi di allevamento sono molto carenti nel comportamento di difesa dai predatori. Inoltre la madre insegna ai piccoli a riconoscere rapidamente il cibo e quindi ad alimentarsi più in fretta che significa una minore esposizione al rischio di essere predati. Infine è stato osservato che la presenza della madre ha un effetto anche sulla capacità di resistere allo stress e di percepire e reagire ai pericoli.
L’ambiente di allevamento è molto diverso da quello selvatico. E’ molto monotono e privo di stimoli. Il soggetto non ha la possibilità di imparare a muoversi ed orientarsi efficacemente. La mancanza di stimoli inoltre ha effetto negativo sullo sviluppo neuronale e quindi sulle capacità cognitive degli animali. Insomma come si può facilmente intuire, senza genitori e in un ambiente quasi completamente artificiale si resta un po’ “tonti”.
Condivisione dei parassiti
Infine negli ambienti di allevamento, caratterizzati da elevate densità, è molto più facile la condivisione dei parassiti da parte degli animali. Una maggiore presenza di parassiti intestinali, anche senza uno stato patologico, può ridurre la “fitness” degli animali che li rende più facilmente predabili dai loro nemici naturali.
Migliorare la qualità dei soggetti allevati
Anche se un soggetto di allevamento non sarà mai comparabile ad uno realmente selvatico ci possono essere alcuni accorgimenti che possono attenuare i difetti i questi animali.
Ad esempio per l’aspetto genetico, l’introduzione periodica di riproduttori selvatici (quindi sottoposti alla selezione naturale) può attenuare l’effetto di domesticazione e mantenere anche una più elevata variabilità genetica.
In allevamento intensivo rimediare all’assenza dei genitori naturali è quasi impossibile, ma l’allevamento semi-naturale sul posto dell’immissione è una possibilità da utilizzare quando c’è la possibilità. Consiste nella vecchia usanza, utilizzata prima dell’avvento delle incubatrici meccaniche, di far covare le uova di fagiano o di altri galliformi da delle chiocce di galline domestiche che provvedono ad allevare i pulcini fino alla loro indipendenza.
Per essere veramente utile questa tecnica deve essere abbinata ad un ambientamento precoce in recinti di ambientamento a cielo aperto, dove la chioccia può “insegnare” ai pulcini fin da primi giorni di vita a riconoscere gli alimenti naturali, a reagire ai predatori (almeno a quelli aerei) ed a muoversi ed orientarsi in una ambiente “naturale”.
Quindi o si allevano gli animali direttamente nel recinto di ambientamento, o vi si trasferiscono insieme alla chioccia molto precocemente (massimo 10 giorni di età). Mantenere soggetti allevati in questo modo per molto tempo in una voliera significa perdere gran parte dei vantaggi offerti da questa tecnica.
Per gli allevamenti intensivi è possibile rimediare, almeno in parte alla monotonia dell’ambiente di allevamento con interventi di “arricchimento ambientale”. Significa che nelle strutture devono essere inseriti degli elementi anche di tipo fisico (barriere, posatoi) che creano discontinuità e permettono agli animali di esprimere il loro comportamento naturale.
Ad esempio la presenza di posatoi nei box di allevamento fin dalla seconda settimana di vita permette ai fagianotti di appollaiarsi come farebbero nell’ambiente naturale. E’ stato visto che i fagiani allevati in questo modo tendono ad inalberarsi più prontamente di quelli allevati in modo convenzionale una volta liberati nell’ambiente selvatico, migliorando in questo modo anche il loro tasso di sopravvivenza perché in grado di sfuggire meglio ai predatori terrestri.
Si tratta di applicare la scienza del comportamento animale agli allevamenti di selvaggina, un campo ancora poco esplorato e con grossi margini di sviluppo. In futuro anche gli allevamenti di selvaggina dovranno essere certificati per rispondere a criteri scientifici di benessere e qualità che in questo caso significa capacità di adattamento all’ambiente selvatico.