Il cacciatore saggio sa che ha sempre da imparare
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La nuova stagione si apre. Il terzo anno potrebbe essere la conferma di aver imparato qualcosa nelle stagioni precedenti. Tutta l’estate è stata particolarmente torrida, è piovuto solo tre mezze giornate.
Sarà questo a demolire probabilmente tutte le mie certezze? In questi due anni di selezione al camoscio ho raccolto delle informazioni che pensavo fossero utili per comprendere meglio questo animale. Ad esempio, che se fa caldo gli animali preferiscono stare nei versanti all’ombra, oppure, che le femmine stanno spesso in branco con i loro piccoli dell’anno e a volte anche quelli dell’anno precedente, mentre i maschi sono più solitari e vagabondi.
Il 16 settembre s’inizia
Parto cosi deciso e convinto, se l’anno scorso avevo preso la camoscia alla quarta uscita, quest anno spero di fare il capretto ancora prima. Il sedici settembre si inizia: parto la sera prima per dormire a 2600 mt ed il giorno seguente essere alla casermetta, come lo scorso anno. Già salendo però i primi dubbi mi assalgono, in giro non un animale. Solo un bello stambecco. Nella notte cadono 10 cm di neve. Ma all’alba, a parte la neve, la giornata è stupenda.
Non un camoscio in tutta la valle. E come me rimangono a bocca asciutta tanti colleghi che incontro in discesa. Nessuno di loro ha il maschio, tutti hanno femmine o binelli. E se per i maschi le abitudini sembrano non essere cambiate, per le femmine vale tutto il contrario. Avremo solo sbagliato versante visto la nevicata?
Seconda uscita
L’uscita successiva decido quindi di andare a sud, al sole. Nello stesso posto dell’anno precedente. Anche io come animale sono abitudinario. La scelta sembra essere giusta, ma solo in parte. Una femmina con un piccolo in realtà ci sono, ma dove sono tutte le altre? Dopo un avvicinamento degno di “Ezechiele”, strisciando riesco ad appostarmi. Però, per una volta che non ho il cuore a mille e che sono ben sistemato con la carabina, tiro e non lo sfioro neanche. Possibile? Certo, scoprirò l’indomani che la carabina deve avere preso un colpo e sono starato di almeno 20 cm in diagonale a destra. Fortuna vuole che non ho preso la mamma, senno sarebbe stato un errore di tiro oltre che morte certa del piccolo.
Facciamoci consigliare
Chiedo qualche suggerimento a vecchi cacciatori che mi dicono, che con un tale caldo e secchezza, i camosci non sono in alta quota bensì nei boschi, tant’è che vengono chiamati in dialetto “buscarin”. Faccio un’ulteriore indagine tra colleghi e tecnico faunistico, se la metà conferma questa teoria, l’altra metà invece li vuole in quota, proprio come credo io.
Faccio cosi tre uscite a quota inferiore, ma anche qui la desolazione. Porto anche un amico a vedere alcuni posti a bassa quota particolarmente adatti alla specie, per avere la sua opinione. “Troppo caldo qua – mi dice – andrà bene più in la, con l’abbassamento delle temperature”. Decido allora di tornare nei miei soliti posti. Ho fortuna, la femmina col piccolo è sempre li. Ma a causa del freddo mattutino e del vento forte, particolarmente pungente, tremante, non oso provare il colpo. Aspetto troppo, loro si spostano, e vanno a sdraiarsi su un roccone, oltre che troppo lontano, impossibile da raggiungere. Niente quest’anno non sono a posto. Se non sei quieto e lucido con te stesso non lo sei neanche a caccia. E quest’anno per me è tutto tranne che quieto e lucido. Ho perso due amici in montagna, e sono stato anche denunciato e querelato per una faccenda di caccia. Vi racconterò un’altra volta questi fatti. Sono in attesa del parere del gip. Ma una condanna mi è già arrivata.
Settima uscita
Ma ritorniamo al camoscio. Settima uscita, sarà quella buona?
Parto presto e vado in un vallone in cui l’anno precedente avevo visto parecchie femmine. Arrivo al colle, 2800 mt. Ma solo camosci maschi e stambecchi. Desolato scendo alla macchina, chiamo un amico che ha una Piola, per sapere se può darmi pranzo. Vado quindi a farmi consolare da lui. Ne esco pieno, e con un bel secchietto di lamponi. Per non perdere la giornata inutilmente decido di andare nuovamente alla borgata nel bosco, schiaccerò un pisolino in attesa del tramonto. Trovo però il proprietario che mi offre un caffè e con cui scambio un bel po’ di chiacchiere. I camosci, quando ci sono, escono dai boschi verso il tardo pomeriggio, mi dice, e La borgata è anche frequentata da caprioli e cinghiali. Questi ultimi hanno devastato i bei prati della borgata, il proprietario mi chiede se si può fare qualcosa, gli prometto che cercherò di prenderne qualcuno. Ma non oggi, di giovedì non posso e manco l’ho mai preso un setolone!
Ci salutiamo, deve scendere a valle per commissioni. Siccome è relativamente presto, decido di dare un’occhiata ai passaggi degli animali. Non faccio attenzione come mio solito e cammino nelle foglie come se andassi a funghi. Tanto non è il momento giusto, né come ora né come temperature, fa davvero troppo caldo. Avrei lasciato la carabina sul balcone della borgata se avessi potuto, ma con la sfiga che ho sempre, decido di portarmela dietro. Faccio un centinaio di metri e sento un fischio. Alzo gli occhi e vedo una femmina. E lei ha visto me, e si sta allontanando continuando a fischiarmi. Mi guardo intorno, e a venti metri ecco li il capretto.
Naturalmente sparare a venti metri, forse trenta, con carabina tarata a duecento non è cosi semplice. Sparo un colpo. Il camoscio non si sposta di un millimetro. Ne faccio un secondo. Poi un terzo. E poi non lo vedo più. Mi butto giù nel bosco e cerco, cerco, cerco, non una goccia di sangue. Lo trovo in un cespuglio, ma con un colpo solo nel corpo. Chissà quale dei tre avrà fatto centro.
Lo pulisco e lo porto al centro di controllo. E per un kg soltanto non è un sanitario. Pesa solo 8 kg. Insomma fortuna che l ho preso, ma anche il più defedato, come l’anno scorso.
Capriolo, Cervo e Cinghiale
Mi faccio assegnare così un capriolo, femmina o giovane. Come lo scorso anno. Ma nel frattempo ha aperto il cervo, e mio padre ha bisogno di me e di amici per poterlo portare a casa nel caso in cui lo prenda.
Cerco quindi il capriolo assegnatomi stando nei pressi di mio papà. Al colle dove vado a piazzarmi con due amici però non vedo né caprioli né cervi. Solo un cinghiale decide di venirmi vicino, ad una cinquantina di metri. È già tardi per gli altri animali. Cosi dopo una breve riflessione, ed essendo lunedì, giornata in cui oltre alla selezione posso anche cacciare il cinghiale. Sparo. Il cinghiale si gira e se ne va. Possibile? Dopo un centinaio di metri, riappare tra gli alberi e gli do un secondo colpo.
Il mio amico mi guarda e mi chiede se l’ho preso. Ma si cavolo, l’ho preso. Non so bene dove, visto che tiro sempre a braccio e sempre troppo vicino, ma l ho preso. Troviamo del sangue e lo seguiamo. Dopo un centinaio di metri lo troviamo, anche lui in un cespuglio. Ha un colpo tra spalla e torace, il primo, ed uno alla zampa anteriore, il secondo. Appena lo tiriamo su al colle ecco le guardie forestali, ora carabinieri. Super controllo, come sempre. E neanche una mano a portarlo alla macchina. Il mio primo cinghiale, dopo tre anni di licenza e venti battute, preso in solitaria, e senza cane.
Si dice cacciare proprio perché comporta molte difficolta, una gran dose di esperienza ma soprattutto fortuna, sennò diremmo solo uccidere.
Alla prossima…
Photo Credit: Matthias Ziegler (license)