Referendum legge 157/92, pericolo o opportunità?
Come al solito i cacciatori sono divisi, fra allarmisti, minimizzatori e opportunisti. In realtà il rischio è minimo ma il tempo di tergiversare è finito: è necessario unire il mondo venatorio italiano una volta per tutte
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Venerdì scorso nei gruppi social popolati dai cacciatori si è velocemente diffusa la notizia di un nuovo referendum abrogativo contro la caccia, o meglio, contro la legge 157/92. Questo, infatti, è il testo del quesito referendario che 13 esponenti di un movimento animalista semisconosciuto hanno deposito alla Corte di Cassazione: “Volete voi che sia abrogata la legge 11 febbraio 1992, n. 157, “Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio” nel testo risultante dalle successive modifiche ed integrazioni?”
Subito il mondo venatorio italiano si è diviso in allarmisti, minimizzatori e opportunisti. Da un lato c’è chi si immagina già di dover appendere il fucile al chiodo, dall’altro chi vede nel referendum una opportunità per riformare la legge sulla caccia, e in mezzo chi confida che tutto cadrà in un nulla di fatto. Ma dove sta la verità? Il pericolo che la caccia venga chiusa è reale?
Vi dico subito che a mio avviso il rischio è minimo (di seguito vi spiego il perché), ma la situazione non va sottovalutata, soprattutto in quanto derivata della considerazione che l’opinione pubblica ha oggi del cacciatore. Una considerazione pessima che, se non agiamo subito, non potrà che inasprire ulteriormente i toni e gli argomenti della discussione, riproponendo periodicamente il “pericolo di chiusura della caccia”.
Qual è l’iter di approvazione di un Referendum abrogativo?
Per meglio comprendere la reale portata della situazione è utile approfondire brevemente l’iter necessario per portare al voto un referendum abrogativo.
Il primo passo è presentare alla Corte di Cassazione la richiesta di referendum con cui avviare la raccolta firme, esattamente il punto in cui si trova attualmente l’iter per abrogare la 157/92. Una volta accolta la richiesta i promotori hanno 90 giorni di tempo per raccogliere 500 mila firme validate.
Questo è il primo “scoglio” che i promotori dovranno affrontare: riusciranno a superarlo? Considerando che questo piccolo movimento per ora non è appoggiato da nessuna associazione animalista famosa (ENPA si è anche schierata contro) né tanto meno da nessun partito e che siamo nel mezzo di una pandemia mondiale, raccogliere 500 mila firme in tre mesi sembra piuttosto un’impresa difficile.
Comunque, se ci dovessero riuscire la palla passerebbe nuovamente alla Corte di Cassazione che entro il 15 dicembre valuterà se le firme siano state raccolte nei tempi e nei modi stabiliti dalla legge.
Se anche l’esame della Cassazione verrà superato, toccherà alla Corte costituzionale che sarà chiamata a esprimersi entro il 10 febbraio (2022) sulla legittimità costituzionale della richiesta di referendum. Questo è il secondo grande “scoglio” che dovranno affrontare i promotori e che potrebbe rendere vani tutti gli sforzi profusi per la raccolta firme. Secondo l’articolo 75 della Costituzione, infatti, non tutte le leggi possono essere abrogate con un referendum. In sostanza, la Corte costituzionale dovrà decidere se le legge 157/92, una legge il cui obbiettivo principale è la protezione della fauna selvatica omeoterma e che recepisce molte direttive europee di tutela, sia abrogabile in toto oppure no.
Comunque sia, se anche il vaglio della Corte costituzionale venisse superato sarà la volta del voto, che dovrà svolgersi tra il 15 aprile e il 15 giugno (2022). Questo sarà il terzo grande “scoglio” che i promotori si troveranno davanti. Perché la proposta soggetta a referendum sia approvata, infatti, dovranno partecipare alla votazione la maggioranza degli aventi diritto al voto e nell’ultimo ventennio in 8 consultazioni referendarie soltanto una volta è stato raggiunto il quorum (per chi ce l’ha chiesto, no, il voto del referendum non può essere accoppiato a quello delle elezioni politiche nazionali anche in caso di scioglimento anticipato delle camere, in quel caso il referendum verrebbe rinviato di un anno).
Se volete approfondire gli aspetti normativi relativi ai referendum abrogativi trovate qui l’articolo 75 della Costituzione e qui la legge del 25 maggio 1970, n. 352 che norma la materia.
E se venisse abrogata in toto la legge 157/92?
Come avrete capito dalla breve analisi dell’iter referendario, la possibilità che la 157/92 venga abrogata non è così tanto concreta come alcuni toni allarmistici letti sui social lascerebbero intendere… ma se venisse abrogata? Cosa succederebbe?
È difficile fare previsioni sulle conseguenze. La 157 è una legge complessa che consente, è vero, l’esercizio dell’attività venatoria “purché non contrasti con l’esigenza di conservazione della fauna selvatica e non arrechi danno effettivo alle produzioni agricole”, ma che ha anche l’obbiettivo di proteggere la fauna.
Non a caso l’articolo 1 si apre dando una definizione precisa di fauna selvatica, “un patrimonio indisponibile dello Stato” tutelato “nell’interesse della comunità nazionale ed internazionale” e si prefigge l’obbiettivo di tutelarla dando attuazione ad alcuni dei più importanti trattati internazionali in tema di protezione faunistica, come la Direttiva Uccelli e le Convenzione di Parigi e di Berna. In quest’ottica, ad esempio, la 157 individua le specie di mammiferi e uccelli particolarmente protetti, definendo anche il profilo sanzionatorio, e sancisce una serie di divieti sacrosanti, come il divieto di uccellagione e quello di cacciare in parchi, riserve e oasi di protezione.
Ma la 157/92 non si limita solo a questo, fra le altre cose, ad esempio, regola gli inanellamenti (anche a scopo scientifico), disciplina l’attività di tassidermia e imbalsamazione, definisce i compiti di ISPRA in materia di gestione faunistica e regola il risarcimento dei danni prodotti dalla fauna selvatica (sia cacciabile e che protetta).
Insomma, è evidente che se la 157/92 venisse abrogata si andrebbe incontro a un vuoto normativo che toccherebbe vari settori e che esporrebbe l’Italia alla violazione di molteplici trattati internazionali. Per questo la conseguenza più probabile non sarebbe la chiusura della caccia ma una revisione parlamentare della legge per tornare velocemente a normare la materia faunistico-venatoria e non incorre in sanzioni.
Qui si aprono scenari inesplorati. Come verrebbe modifica la 157/92? In meglio o in peggio? Molto dipenderebbe dalla composizione parlamentare e da quali pressioni i partiti riceverebbero dall’opinione pubblica. Ma considerando che la figura del cacciatore è stata mediaticamente distrutta da anni di comunicazione ambientalista, la prospettiva non è rosea ed è facile immaginare che l’opinione pubblica si schiererebbe per ridurre l’attività venatoria ai minimi termini.
Un pericolo che deve diventare un’opportunità
Con un simile scenario all’orizzonte, che probabilmente non si concretizzerà con questo referendum ma che sicuramente si riproporrà nei prossimi anni, il mondo venatorio italiano deve farsi trovare pronto, anzi prontissimo!
In che modo? Prima di tutto unendosi, ma per davvero! Basta divisioni, basta lotte di associazionismo, basta Cabina di Regia, c’è la necessità di avere una UNICA ASSOCIAZIONE VENATORIA! E c’è la necessità di averla ora! Non fra un anno, due anni o tre anni, ma ora! Il mondo venatorio ha bisogno di essere rappresentato in modo univoco ora! Perché se affronteremo divisi le sfide che ci attendono nei prossimi anni saremo destinati a perderle.
Solo uniti, condividendo strategie di comunicazione e di azione, potremmo riposizionare la figura del cacciatore al centro dell’ambientalismo italiano e riqualificarla agli occhi dell’opinione pubblica. E solo uniti potremo immaginare la caccia che vogliamo praticare nei prossimi 20 anni e concretizzarla nella proposta di una nuova legge nazionale sull’attività venatoria che dovrà essere pronta e ben visibile sui tavoli di tutti i partiti italiani quando arriverà il momento di riformare la 157/92.
Una volta uniti, ci si dovrà unire di nuovo! Questa volta con tutto il mondo rurale, agricoltori, allevatori, pescatori e veri ambientalisti. Tutte quelle figure che oggi vedono messe a rischio le proprie attività dalle ideologie animaliste. Nei prossimi anni lo scontro tra mondo urbano e mondo rurale diverrà sempre più acceso: i primi spinti da una visione idillica e animalista della natura (in cui il lupo vive in armonia con la pecora e allo stesso tempo contiene le popolazioni di ungulati e in cui gli unici essere umani ammessi a frequentare boschi e compagne sono i passeggiatori, i selfisti di professione e i piantatori di pale eoliche) cercheranno di plasmare a loro piacimento il mondo dei secondi, che potranno conservare le loro tradizioni solamente creando un fronte comune (operazione che fortunatamente qualcuno sta già provando a mettere in atto).
Rivolgo un invito a tutti i cacciatori, andate nella vostra sezione associativa e parlate di questo, fate pressione ai vostri dirigenti, convinceteli della necessità di creare una sola associazione venatoria. E se non dovessero ascoltarvi cambiate, isolateli e svuotate quelle associazioni che non capiscono l’esigenza di unirsi, sono progetti senza futuro. Ognuno deve fare la sua parte, solo così, se il mondo venatorio italiano saprà raccogliere la sfida unitaria, questo referendum per abolire la caccia potrà trasformarsi da pericolo a opportunità.
Caccio da molti anni, 55, prima con ardore oggi con rassegnazione vista la progressiva distruzione dell’ambiente certo non identica nelle diverse aree italiane. Trovo oggi come 50 anni fa che un’unica associazione nazionale sarebbe auspicabile per la difesa di interessi comuni, chiediamoci perchè questa scelta logica non è mai avvenuta sew non con tentativi velleitari di artificiosi organismi super partes per lo più naufragati miseramente. la verità è che se si ascoltano i desiderata dei cacciatori di base che costituiscono l’80% del totale le richieste sono molto simili, poi però arriva la politica con i suoi intenti “altri” e le cose si complicano maledettamente con i presidenti delle associazioni teleguidati da Roma. soluzione? Voto telematico da tutti i detentori di licenza praticanti con scelta diretta di propri rappresentanti provenienti dal mondo venatorio e non dalle segreterie dei partiti. Oggi csi assiste ad una gestione elitaria con chiusura dei territori proveniente dall’alto, zone di caccia controllata, aperture carbonare comunicate di notte a pochi prescelti, distruzione della flora e dell’ambiente senza una politica di conservazione chiara. E’ ora di contare di più.
Io penso, che dare suggerimenti adesso è come chiudere la porta dopo che sono usciti i buoi. La colpa, se la caccia rischia di chiudersi definitivamente, è della politica e di tanti cacciatori che hanno alimentato con le loro sottoscrizioni, associazioni che per amor patrio, non voglio menzionare. Sono un vecchio cacciatore, ho sopra alle spalle ben 64 licenze ininterrottamente. La caccia per me, per circa una trentina di anni, è stata veramente caccia. Poi Pannella (pace all’ anima sua), per una manciata di voti in più, ha messo la caccia nel mirino, trascinandosi dietro dei poveri derelitti, che crescendo e speculando sull’ attività venatoria, si sono diffusi a macchia d’ olio in varie associazioni con in testa il WWF, finanziatore interessato. La caccia, per tornare a vivere (secondo me), dovrà necessariamente riconquistare un numero consistente di nembrotti, che riescano a sopraffare con la forza della moltitudine, politici e anticaccia. Per ottenere questo, bisogna pubblicizzare questo sport, con spot ben fatti e con personaggi importanti amanti della caccia. In questo momento terrificante per il mondo, dove il COVID-19 sta mietendo vittime e paralizzando l’ economia, affossare anche la caccia e tutto quello che le ruota attorno, sarebbe veramente pazzesco.
Caro Andrea mi sembra che tu non abbia capito cosa rappresenta ACR Berlato non vuole che lasciamo le nostre associazioni venatorie per andare con lui, ognuno può restare con la propria associazione ma di aderire ad ACR per costruire una grande associazione che unisca le forze dei cacciatori, agricoltori, allevatori, pescatori ( di tutto il mondo rurale) per difendere e fare sentire i diritti e le esigenze del mondo rurale verso l’opinione pubblica e la politica (cosa che oggi è calpestata e violentata)
Scusate, ma… per “collocare il cacciatore al centro dell’ambientalismo”, più che una voce “unica”, forse aiuterebbe se il medesimo si esponesse fattivamente quando si dibatte pubblicamente di trivellazioni e combustibili fossili, di mobilità ecologica piuttosto che di consumo di suolo, di uso del cemento per opere inutili, di raccolta differenziata piuttosto che di chimica in agricoltura.
Aggiungo che lo stereotipo che va per la maggiore non sarà mai superabile, nel momento in cui divenisse attaccabile il concetto che non è il prelievo venatorio la causa dello squilibrio ambientale; questa inattaccabilità è impraticabile senza il controllo di un soggetto terzo scientificamente preparato e di organismi di controllo efficaci ed efficienti.
Il mio dito preme il grilletto solo quando mi sento relativamente certo che quanto sto facendo, rispetta quell’equilibrio e il resto dell’anno lo passo a dare una mano all’ambiente, per quanto mi è possibile.
Io lascerei fare questo referendum. Fidc lo teme…. quindi secondo me va in favore dei cacciatori.
La 157/92 ci ha tolto tanto sotto l’aspetto della caccia vera.
La 157 è un’invenzione della Fidc.
Con la Fidc è stato dato potere agli animalisti attraverso l’ispra e con lo spazio mediatico che i cacciatori, sempre attraverso il silenzio delle aa.vv hanno lasciato.
Ci hanno tolto tempi e specie in favore delle gare organizzate dalle associazioni venatorie e le stesse si sono assicurate introiti periodici con gli atc, vera distruzione della caccia e di specie di pregio (starne ad esempio) in favore dell’imprenditoria applicata alla caccia.
Ecco perché questo referendum non ci fa male
La cosa migliore da fare per favorire questa auspicabile unione di tutte le AAVV è quella di non pagare più la tessera se entro la prossima apertura (speriamo) non si saranno unite.
Qui non è un problema di essere di un partito o di un altro ma di fare di tutto per poter continuare ad andare a caccia
Sono d’accordo con Luca: è difficile portare al dialogo la miriade di Associazioni Venatorie che ci sono , sono tutte per un motivo o per altro diversamente schierate, Io dico però, che dovremmo noi cacciatori e non solo ( penso al mondo che lavora e vive intorno la caccia) unirsi per il bene di tutti, e fare opera di persuasione a tutte le Associazioni per un unificare L’ Associazionismo Venatorio in unica grande Associazione, solo se saremo tutti uniti probabilmente avremmo la forza di farci ascoltare.
Mi sembra che chi ha scritto questo articolo sia molto in sintonia con quello che sta facendo BERLATO che io condivido appieno ma che è contrastato da molti cacciatori e diverse associazioni venatorie (per invidia e per non conoscenza della personalità BERLATO come lo conoscono io come cacciatore e Veneto quale sono io )
Giuseppe il progetto ACR di Berlato è ottimo, ma non troverà appoggio dell’associazionismo venatorio (come non lo ha trovato fin da quando ACR esiste) semplicemente perché Sergio è una figura scomoda per gli attuali dirigenti delle associazioni venatorie e politicamente schierata. Per me è indispensabile prima unire il mondo venatorio e rinnovare i suoi vertici e poi andare a parlare con tutti gli altri attori del mondo rurale. Oggi chiunque vuole dialogare con “noi cacciatori” si trova davanti una pletora di una decina di associazioni che scoraggia qualsiasi dialogo.
Caro Giuseppe se conosci Berlato come dici lo avrai sicuramente sentito parlare delle altre associazioni venatorie e pur avendo in qualche caso ragione ne ha sempre parlato molto male!adesso pretendere che
tuttii quelli a cui hai sputato in faccia ripeto a volte giustamente a volte meno lascino le loro associazioni per venire con te francamente mi sembra una follia!