La caccia nella storiaRubriche

Oetzi, un cacciatore alpino di 5000 anni fa

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Era il 19 settembre del 1991 quando due coniugi tedeschi, appassionati camminatori di montagna, si imbatterono, per pura casualità, in quella che rappresenta una delle scoperte archeologiche più sensazionali per il continente europeo degli ultimi decenni. Ma i signori Erika e Helmut Simon, questi i loro nomi, non si accorsero subito dell’eccezionalità del ritrovamento e, non se ne accorsero nemmeno i carabinieri italiani e quelli austriaci, interpellati dal gestore del rifugio Similaun, Markus Pirpamer. Per tutti, quell’uomo rinvenuto congelato nel ghiaccio era solo un alpinista che la montagna aveva deciso di tenere con sé a 3210 metri s.l.m.. Pirpamer, ad esempio, il giorno seguente, a causa delle cattive condizioni climatiche che ostacolavano le attività di recupero, si recherà a piedi per coprire il corpo di Oetzi con un telo di plastica. Puro gesto di rispetto caritatevole nei confronti di un cadavere di un tuo simile. Eppure, ad un certo punto, qualcosa lasciò immaginare che le cose erano andate in modo diverso; quell’uomo poteva essere più di un semplice e sfortunato alpinista. I primi ad accorgersene furono i famosi scalatori Hans Kammerlander e Reinhold Messner. Pare proprio che quest’ultimo fu il primo a riconoscere nell’ascia in rame, reperto di importanza straordinaria, un primo indizio per associare quei resti umani ad un passato molto più remoto di quello che tutti si sarebbero aspettati…

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L’età del Rame

Con il termine Età del Rame indichiamo quel periodo del passato in cui l’uomo inizia a “manipolare” i metalli presenti in natura per costruire attrezzi e armi. È una svolta epocale per la specie umana che, grazie a questa innovazione tecnologica, apre le proprie frontiere verso un nuovo modo di affrontare la natura. Tutte le attività quotidiane, da abbattere un albero a cacciare un cervo, divengono più semplici grazie all’ausilio dei nuovi strumenti in metallo.

In realtà, all’inizio, dobbiamo immaginare il metallo nelle mani delle classi più agiate che, grazie ad artigiani molto specializzati, usavano questi materiali più come status symbol che per realizzare attrezzi di uso quotidiano. Parliamo di un’epoca che risale a circa 5500 anni fa. L’uomo del Similaun nasce e vive proprio in questa fase della storia dell’umanità.

Oetzi

Abbiamo accennato al ritrovamento di questa incredibile mummia naturale ma ora cercheremo di scoprire perché questo cacciatore preistorico riveste questa importanza straordinaria per le nostre conoscenze sulla nostra antichità.

Oetzi rappresenta infatti una finestra aperta sul nostro passato attraverso cui possiamo osservare da molto vicino la vita di un nostro antenato. Sulla morte di questo cacciatore sono state scritte migliaia di pagine e sono state supposte decine d’interpretazioni circa gli ultimi momenti della sua esistenza. Quello che sappiamo con certezza è che Oetzi fu ucciso da qualcuno che gli ha scagliato una freccia in selce nella schiena e che il giorno precedente, qualcuno, forse lo stesso uomo che lo ha ucciso, gli aveva procurato una profonda ferita in una mano.

Le motivazioni di questo omicidio preistorico non le scopriremo mai ma quello che sappiamo è che la particolarità delle condizioni del luogo e del clima in cui l’assassinio si è consumato ci hanno restituito tutta l’attrezzatura e l’abbigliamento di un cacciatore alpino di più di 5000 anni fa. Le condizioni climatiche e del luogo di scoperta sono del tutto eccezionali e sembra quasi che madre natura ci abbia voluto conservare e “regalare” la possibilità di osservare il passato attraverso il corpo dell’Uomo del Similaun. Il cacciatore cadde, infatti, in una conca naturale che, successivamente ad una prima fase di mummificazione naturale dovuta alle condizioni climatiche, venne riempita di neve fresca che, nel giro di poco, ha garantito protezione da eventuali attacchi di predatori. Successivamente, il ghiaccio invernale ha sigillato il ritrovamento fino ai giorni nostri. Il corpo di Oetzi, così conservato, ci ha restituito la più antica collezione di tatuaggi (61 in totale).

Un dettaglio dei tatuaggi di Oetzi nella ricostruzione a grandezza naturale presente al Museo Archeologico dell’Alto Adige – © Museo Archeologico dell’Alto Adige

Mentre in un primo momento pensavamo fossero legati ad attività rituali, oggi i ricercatori li associano a una pratica curativa utile a lenire dolori articolari e da reumatismo. Gli uomini dell’età del rame, al contrario di noi uomini moderni, non possedevano strumentazioni in grado di osservare le ossa presenti nel nostro corpo ma, di certo, godevano di un bagaglio culturale, fatto di esperienze empiriche e di una conoscenza del proprio corpo e dell’ambiente naturale che li circondava molto più avanzata della nostra, in grado di fargli affrontare al meglio tutte le difficoltà. Oggi, infatti, sappiamo che i tatuaggi sul corpo di Oetzi ripercorrono proprio le linee dell’agopuntura. Praticamente, il nostro cacciatore preistorico soffriva di dolori in alcune parti del corpo che aveva certamente sfruttato troppo a causa di tutte quelle dure attività necessarie al sostentamento e, attraverso la pratica sapiente di un qualche “medico-santone” del suo tempo, alleviava le sofferenze ricorrendo proprio al tatuaggio.

L’abbigliamento e l’equipaggiamento di un cacciatore preistorico

Oetzi fu rinvenuto vestito ed equipaggiato per resistere alle difficili condizioni climatiche dell’ambiente montano. Solo parte dell’attrezzatura venne danneggiata durante le goffe fasi di recupero. Tutto l’abbigliamento era realizzato con elementi direttamente provenienti dalla natura. Si tratta di pellicce di animali cacciati o allevati, associati a fibre vegetali raccolte nei boschi delle valli o in cima alle vette alpine. Il cappello di Oetzi era realizzato con varie strisce di pelliccia di orso, la tomaia delle scarpe in pelle di cervo e i gambali da strisce di pelle di pecora e di capra domestica.

L’attività di caccia all’epoca di questo nostro antenato era certamente faticosa e pericolosa e ognuno sapeva che parte della sopravvivenza era legata alla capacità di adattarsi a tutte le situazioni e alle difficoltà. Per questi motivi certamente il nostro cacciatore indossava una sorta di antico marsupio, costituito da una cintura in cuoio di pelle di vitello provvista di una sacca sul davanti, all’interno del quale conservava alcuni pezzetti di una particolare specie di fungo secco che, all’occorrenza, poteva servire da esca per accendere il fuoco, da alcuni strumenti in pietra, tra i quali una tagliente lamella in selce e altri necessari per l’attività all’aria aperta.

Tra le attrezzature spiccano per fattura e sapienza artigianale, l’ascia in rame con manico in tasso, legata stretta con cinghie di pelli animali e incollata con catrame di betulla, un arco in costruzione, anch’esso in legno di tasso, una faretra in pelle di capriolo, contenente alcune frecce, e un bellissimo pugnale da caccia. Sulla schiena portava una gerla in legno di nocciolo alla quale era forse attaccata una sacca in pelle di animali o una rete intrecciata di fibre vegetali.

Dobbiamo immaginare il nostro cacciatore mentre percorre i difficili tratturi alpini, portando a fatica, magari dopo diversi giorni di caccia, una pesante preda sulle sue spalle verso il villaggio a fondovalle. O possiamo pensarlo a tarda notte, scaldato dal calore di un flebile fuoco accesso grazie ai rudimentali ma efficacissimi mezzi a sua disposizione, accovacciarsi in pelli di animali da lui stesso predati e passare ancora una notte gelida e stellata per riprendere la caccia all’alba del giorno seguente. O immaginarlo scaldarsi al caldo del fuoco della sua capanna mentre, con la sua ascia in rame, realizza un nuovo arco e altre frecce per affrontare al meglio quell’attività venatoria così necessaria e fondamentale al sostentamento di tutta la sua comunità.

Infatti, l’aspetto da tenere maggiormente in considerazione è il fatto che tutto per lui, o per gli uomini e le donne del suo tempo in generale, era legato ai cicli della natura e strettamente connesso al vivere in sintonia con essa. Ogni singola parte di un animale cacciato diventava prezioso elemento da impiegare per la realizzazione di strumenti per la vita quotidiana. Ogni tendine diventava una corda, ogni pelliccia veniva trasformata in giaciglio, tomaia o pesante giaccone per l’inverno. Nulla doveva essere sprecato e la loro stessa esistenza era legata alla saggezza di saper trasformare in utile strumento anche la più apparentemente insignificante parte di una preda.

Così come era necessario, per non incorrere in errori fatali, conoscere perfettamente le proprietà delle piante che lo circondavano. Nel suo equipaggiamento erano presenti, ad esempio, due frammenti di poliporo di betulla (fungo degli alberi) infilati su due strisce di pelle. Questo fungo, oggi lo sappiamo grazie alle moderne scienze, rappresenta un potente antibiotico naturale che molte volte il nostro cacciatore venuto dal ghiaccio deve aver utilizzato per sedare dolori e curare piccoli malanni. La perla discoidale, poi, rappresenta per tutti noi cacciatori moderni un chiaro esempio di come il tempo cambi le tecnologie ma non tutte le abitudini. Questo oggetto, infatti, appare identico, del tutto e per tutto, ai nostri porta uccelli da cintura. Si tratta, infatti, di un piccolo disco in marmo con un foro al centro. Attraverso il foro passavano una serie di striscioline di pelle attorcigliata alle quali erano poi appese le prede catturate.

La perla discoidale di Oetzi, del tutto simile ai nostri porta uccelli da cintura – © Museo Archeologico dell’Alto Adige

L’uomo venuto dal ghiaccio, che è poi anche il titolo del film con Franco Nero sulla storia del cacciatore preistorico (per ora uscito solo in Austria e Germania), rappresenta una eccezionale scoperta per ogni uomo del nostro tempo. Tuttavia, le tracce di quel passato antico devono costituire una testimonianza ancora più significativa per tutti quelli che continuano a vivere la natura dal suo interno, senza fronzoli e intermediazioni, prelevando il giusto e non sprecando niente per consentire alle generazioni del futuro di godere ancora, e speriamo ancor meglio, del rapporto atavico tra l’uomo e la natura.

Se volete approfondire l’argomento trovate maggiori informazioni sul sito del Museo Archeologico dell’Alto Adige iceman.it, interamente dedicato a Oetzi.

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SPARNANZONI ISIDORO
SPARNANZONI ISIDORO
3 anni fa

Salve
sono già iscritto alla vostra Newsletter che mi arriva regolarmente e mi informa in modo esaustivo sulle vicende
del mondo venatorio e vi ringrazio.
Mi chiamo SPARNANZONI ISIDORO, avvocato in pensione ( n. 04/04/1948). Ora mi interesso alle problematiche della parapsicologia e della cultura insolita e collaboro al bimestrale IL GIORNALE DEI MISTERI, sede Grottaferrata Roma e al trimestrale Luce e Ombra di Bologna. Curo in particolare una rubrica sui Costumi e sulla lingua sul GdM.
Chiedo a voi e al dott. Domenico Liperoti, se acconsentite che il bellissimo articolo “Oetzi, un cacciatore alpino 5000 anni fa”, con le immagini possa occupare le pagine di cui dispongo sulla rivista per sensibilizzare anche i lettori delle scienze metapsichiche a questa nostra bella passione, che ha origini antichissime. Io non saprei fare di meglio. Ovviamente sarà citato IoCaccio.it e l’autore dell’articolo Domenico Liperoti, il tutto subordinato al formale vostro consenso con inoltro in pdf e all’accettazione della direttrice della rivista Francesca Vajro.
Grazie per l’attenzione e con la speranza di una risposta, saluto cordialmente.

Giovanni
Giovanni
3 anni fa

Articolo interessantissimo. Povero Oetzi! Come se non fossero bastati i pericoli dell’ambiente (suppongo che ai suoi tempi ci fossero anche numerosi orsi dove cacciava), qualche cacciatore rivale, o un membro di un’altra tribu’ fini’ con l’ucciderlo. A meno che non sia stato un antesignano della LIPU, o Legambiente, o WWF a farlo fuori.

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