L’antica arte della falconeria
L'attività venatoria è consentita con l'uso di: fucile con canna ad anima liscia, fucile con canna ad anima rigata. È consentito, altresì, l'uso dell'arco e del falco… (Legge 157/1992)
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L’attività venatoria in Italia può essere esercitata con il fucile e con l’arco ma, pochi lo sanno, anche con l’ausilio di rapaci opportunamente addestrati. L’antica arte della falconeria ha origini ancora incerte risalenti probabilmente a un’epoca precedente i 4000 anni fa la cui storia, secondo gli studiosi, nasce nelle steppe dell’Asia centrale (un’area attualmente compresa tra la Cina e la Mongolia). Quest’arte è ancora praticata su tutto il territorio nazionale dove i cacciatori falconieri sono rappresentati da diverse associazioni settoriali.
Un aspetto fondamentale, sul quale ci si sofferma sempre poco, riguarda il fatto che i rapaci da caccia, pur essendo a tutti gli effetti ausiliari alla pari dei nostri fedeli cani, sono animali selvatici addestrati, ma mai addomesticati. Le battute di caccia si svolgono con l’ausilio di cani da ferma opportunamente addestrati a collaborare con rapaci e cacciatori e molto corretti sul frullo del selvatico, che deve essere inseguito e predato solo dall’uccello predatore. A seconda delle caratteristiche di volo e del modo di cacciare, i falchi vengono classificati di “alto volo” o di ”basso volo”. I primi volteggiano sulla testa del cane e del conduttore e, al momento del frullo del selvatico, partono in picchiata per colpire a morte la preda. Quelli definiti di ”basso volo” invece, sferrano l’attacco mortale partendo direttamente dal pugno del cacciatore falconiere. A seconda delle caratteristiche ambientali del terreno di caccia vengono utilizzati uccelli appartenenti all’una o all’altra tipologia di volo.
E proprio in virtù del suo corpus culturale e delle sue antichissime origini che hanno radici addirittura protostoriche, l’UNESCO ha classificato l’arte della falconeria Patrimonio Culturale immateriale e vivente definendola:
“Un patrimonio vivente e creativo ricco di significati ed espressioni culturali che formano, in un territorio geografico relativamente contenuto, un corpus culturale straordinariamente vasto che spazia dall’architettura, alla storia, alla letteratura, all’arte, ai toponimi e i nomi di famiglia, fino a poesia, musica e teatro.”
Si tratta, abbiamo già sottolineato, di una forma di caccia molto antica e che ha origini asiatiche. Dopotutto le immense steppe orientali, ricche di selvaggina, sia di fasianidi che di lepri, o di altri animali di piccola taglia, rappresentano forse il terreno ideale per esercitare questa nobile forma di predazione. Secondo alcuni studiosi, tuttavia anche nel vicino oriente e quasi contemporaneamente, uomini di altre culture e religioni hanno iniziato ad allevare rapaci da utilizzare come ausiliari durante le battute di caccia. Si tratta, quindi, di un fenomeno che avviene quasi sincronicamente in varie parti del globo e che vede la sua diffusione nel resto del mondo, grazie agli scambi culturali e commerciali tra i popoli antichi.
In Italia
Nel Bel Paese la diffusione della falconeria origina nel periodo medievale ad opera dei navigatori veneziani che commerciavano con l’Oriente ma, allo stesso tempo, per la presenza di falconieri arabi presenti alla corte normanna di Federico II e per i contatti con l’Oriente durante le Crociate. Tuttavia, probabilmente, i primi a portare in Italia e nel sud dell’Europa questa forma di predazione sono stati i cacciatori germanici durante le incursioni barbariche.
A partire dall’anno mille questa pratica venatoria vede una diffusione su larga scala, tanto che diviene un fenomeno culturale di ampio raggio. A suffragio di questa ipotesi ci sono pervenute dal passato numerose opere artistiche che ritraggono cavalieri falconieri. Tra queste possiamo menzionare quelle presenti nel Castello di Melfi, nel Castel del Monte in Puglia, nel Palazzo dei Normanni a Palermo, nel Palazzo Ducale a Mantova, nella Sala di Dante presso la Torre Grossa di San Gimignano e nel Palazzo Pubblico di Siena. Presso quest’ultimo, in particolare, è presente un enorme dipinto, risalente al 1338-1339, realizzato dall’artista Ambrogio Lorenzetti che raffigura in modo allegorico le differenze tra il “buono e il cattivo governo di una città”. Proprio in uno degli affreschi che rappresenta gli effetti del buon governo di un territorio, sono raffigurati alcuni nobili nell’atto di uscire a cavallo da una delle porte della città per andare a svolgere una battuta di caccia con il falco. Con la sua opera l’artista ci vuole testimoniare che gli effetti di un “Buon Governo” si vedono anche nella gestione delle campagne, che diventano luoghi sicuri e fecondi dove poter vivere, ma anche praticare attività all’aria aperta e in serenità. E non è un caso che il Lorenzetti, per esprimere il concetto, abbia raffigurato proprio alcuni falconieri; l’arte della falconeria era, infatti, un’attività comune e molto diffusa, praticata tanto dagli uomini quanto dalle donne.
Secondo la scheda redatta dall’UNESCO, i distretti dove la falconeria è ancor oggi maggiormente praticata nelle regioni italiane, ricalcano in gran parte quelli storicamente legati alle corti rinascimentali e ancor prima ai Palazzi comunali toscani, nonché ai Castelli federiciani nel Sud Italia.
Federico II di Svevia Imperatore del Sacro Romano Impero
Parlare di falconeria in Italia vuol dire innanzitutto citare l’Imperatore Federico II di Svevia. L’Imperatore del Sacro Romano Impero, sul trono dal 1220 al 1250, era infatti un appassionato falconiere e grande conoscitore dell’arte venatoria. Il suo trattato De arte venandi cum avibus, redatto in circa un trentennio e rimasto incompiuto a causa della morte dell’autore, tratta per l’appunto dell’arte della falconeria sotto tutti gli aspetti.
Il testo parla dell’allevamento dei rapaci e delle tecniche per catturarli, delle attrezzature per esercitare la falconeria e delle tecniche di addestramento, ma descrive anche con minuzia di particolari gli uccelli (non solo gli ausiliari, ma anche le prede). Descrive gli habitat, le caratteristiche biologiche, compresi gli organi interni delle diverse tipologie di animali, le rotte, i periodi di migrazione e le caratteristiche di volo. Insomma, un trattato “modernissimo” e affascinante scritto da un appassionato cacciatore e studioso naturalista del Medioevo. Il trattato però, va ben oltre il saggio scientifico e testimonia la sete di conoscenza che muoveva gli studi del Sovrano e l’autentica passione che nutriva per la caccia e la natura. Il testo è conservato presso la Biblioteca Vaticana e rappresenta una copia incompleta fatta trascrivere da Manfredi, figlio dell’Imperatore. È necessario sottolineare che l’opera prese spunto da un trattato arabo sulla falconeria, Kitāb al-mutawakkilī di un certo Moamin, che lo stesso Federico fece tradurre in latino. Il titolo dell’opera tradotta è De scientia venandi per aves (“La scienza della caccia con gli uccelli”).
E ci piace immaginare lo stupore dei primi europei che hanno avuto la possibilità di osservare, sbalorditi e increduli, cavalieri barbari dalle possenti armature portare rapaci al braccio. O ancora, ci piace fantasticare sullo stupore dei primi europei che hanno avuto la possibilità di osservare, sbalorditi e increduli, antichi cacciatori arabi avvolti in bellissimi manti dai colori sgargianti, cavalcare possenti ronzini reggendo su un braccio rapaci docili e selvatici allo stesso tempo. E ci piace immaginare, in un groviglio di lingue diverse, la profluvie di domande che gli occidentali hanno rivolto ai colleghi d’oriente per carpirne le tecniche e scoprire come superare le naturali difficoltà di un’arte così complessa e nello stesso tempo attrattiva, qual era quella della cattura di un rapace e del suo addestramento alla caccia. Due mondi diversi che si incontravano, due culture diverse a confronto, accomunate da un comune denominatore: la passione per la natura e per l’arte venatoria.
Per saperne di più, Federazione Italiana Falconieri, Unione Nazionale Cacciatori Falconieri, Falconeriaitalia.org.