Il colombaccio, una conoscenza da approfondire
Una specie non in difficoltà, la cui interessante biologia è scarsamente conosciuta e studiata, ma che merita attenzione soprattutto dal mondo venatorio
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Il colombaccio è una delle poche specie d’interesse venatorio le cui popolazioni non si trovano in difficoltà e che non sono considerate in pericolo; questo fa sì che a livello scientifico non se ne sappia molto. Sono pochi, infatti, gli studi che si sono incentrati su questa specie con fine gestionale e di salvaguardia della stessa.
Le popolazioni europee di colombacci sono state stimate tra gli 8 e i 15 milioni di coppie. È una specie ampiamente distribuita nel paleartico occidentale, in nord Africa, Asia centro-occidentale e Siberia. Più del 75% della popolazione mondiale si trova in Europa; in Italia si stimano tra 40.000 e 80.000 coppie con tendenza alla crescita, a testimonianza di una popolazione in netto aumento e in buona salute.
La specie appare quasi totalmente migratrice nella parte più settentrionale del suo areale, mentre risulta residente dal Regno Unito fino in Marocco. Anche per quanto riguarda gli areali di svernamento la specie risulta presente dai settori più occidentali del nostro continente fino all’Africa nord-occidentale.
Per quanto riguarda gli ambienti di nidificazione, il colombaccio predilige boschi di latifoglie o conifere che, però, non devono essere troppo estesi, ma prossimi ad aree aperte coltivate. Questa particolare preferenza ha fatto sì che nella nostra penisola le maggiori concentrazioni di individui si riscontrino in Toscana e Marche con numeri più bassi e soprattutto concentrati sull’arco prealpino in Piemonte, Lombardia e Veneto.
Biologia e sopravvivenza del colombaccio
Il colombaccio si riproduce tutto l’anno ad esclusione dei mesi più freddi ed è in grado di portare a termine due covate ogni anno; la femmina costruisce un semplice nido di bastoncini ad un’altezza compresa tra i 3 e i 15 metri. Nel nido vengono solitamente deposte due uova che vengono poi covate per 18 giorni; alla nascita sono nutriti dai genitori con il cosiddetto latte di piccione, una sostanza ad alto contenuto proteico che si forma nel gozzo degli stessi. In condizioni normali i pulcini abbandonano il nido attorno alle 3-4 settimane di vita. Ma nel caso vengano disturbati sono in grado di sopravvivere senza troppe difficoltà già dopo i primi 20 giorni. Questo ultimo aspetto della biologia di questa specie potrebbe essere una delle motivazioni per cui il colombaccio è riuscito, fino a ora a superare le difficoltà e gli effetti negativi delle nuove pratiche agricole.
Da alcuni dati presenti nell’Atlante della Migrazione degli Uccelli in Italia, di Spina F. & Volponi S, Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e ISPRA del 2008, si osserva che il 70% dei colombacci non sopravvive alla prima migrazione autunnale e meno del 10% sopravvive fino al secondo anno di vita; questo anche a causa di un’elevata pressione venatoria che, soprattutto negli ultimi anni, è andata consolidandosi. Pressione venatoria esclusa, la mortalità di questa specie si concentra nella stagione fredda per una ridotta disponibilità di risorse trofiche.
Questi numeri sembrano preoccupanti e non appaiono in accordo con lo stato e l’andamento della popolazione; dobbiamo perciò cercare una risposta altrove. Negli anni ’50, in Gran Bretagna fu messo in atto un piano di abbattimento nel tentativo di ridurre il numero d’individui della specie presenti. Questa azione fu un fallimento perché l’abbattimento di un elevato numero di individui durante l’autunno e l’inizio della stagione invernale rese più agevole la ricerca di cibo agli esemplari rimasti. La riduzione della competizione portò un drastico calo della mortalità invernale e i colombacci giunsero in primavera meno stremati e in condizioni di salute migliori; pronti ad assolvere al loro compito riproduttivo.
Un’altra motivazione, che sembrerebbe concorrere al buono stato della dinamica di popolazione di questi migratori potrebbe essere l’aumento delle temperature medie annue; questo rende meno difficoltoso lo svernamento e più brevi gli spostamenti migratori, favorendo la sopravvivenza dei colombacci.
Come far sì che questa specie continui a essere numerosa e in ottima salute
Avendo delineato un quadro abbastanza dettagliato delle abitudini e dello stato delle popolazioni di colombaccio cerchiamo di concentrarci sugli aspetti fondamentali che possano permettere a una specie così importante di mantenersi in salute.
Dai risultati del Progetto colombaccio Italia appare un andamento degli abbattimenti in crescita che sottolinea l’elevato numero di giovani presenti nella nostra penisola ogni anno. Questa informazione ci rincuora, ma ci mette anche in guardia. Sarebbe, infatti, importante mantenere ampie superfici boschive delle specie che il colombaccio predilige come leccio, roverella, farnia, cerro, pino domestico e pino marittimo. Interventi di questo tipo ci permetterebbero di mettere al sicuro un patrimonio venatorio importante e che, lo ripetiamo, per ora gode di ottima salute e proprio per questo va salvaguardato.
Accanto a questo aspetto dobbiamo ricordarci di mantenere viva l’attenzione sull’attività venatoria stessa e sull’impatto che alcune tecniche possono avere sulle popolazioni; non possiamo permetterci di rilevare troppo tardi un cambiamento nello status della specie e il sempre più elevato numero di appassionati che si interessano a questo uccello e cominciano a praticarne la caccia deve essere monitorato con accuratezza.
Solo così il mondo venatorio sarà al sicuro da possibili critiche esterne ad esso e potrà vantarsi del fatto che nonostante un’intensa attività di prelievo il numero di colombacci non accenna a scendere.