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Io, mio padre… ed il Fiume

E giunse la fine di Settembre, il clima era ancora quello estivo, quello di un’estate calda, torrida che non dava segni tangibili della sua resa. Le prime due settimane della stagione furono scandite da ottime cacciate con le mie setter inglesi, a fagiani e a starne, sulle balze delle mie amate colline Pavesi. Cacciare in quegli ambienti non è esente da difficoltà e da problematiche varie, molte delle quali legate alla vendemmia in pieno corso che si traduce in operai stagionali che si muovono nelle vigne e selvatici nervosi perché disturbati in modo sistematico e repentino dalla sgradevole ed ingombrante presenza dell’uomo.

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Tempo di caccia agli acquatici

Come la tradizione di famiglia impone ormai da tempo immemore, quando Ottobre si affaccia all’uscio di casa, si tirano fuori gli stampi di germani, alzavole, fischioni e codoni dallo sgabuzzino del porticato, li riposti dopo la manutenzione estiva assieme al capanno smontabile, ai “Mojo” e alle gabbiette portatili delle anatre vive da richiamo, e si comincia a pensare alla caccia degli acquatici sul nostro amato fiume Po.

Non fu quindi per caso che alle 04:00 di quel mattino io, mio padre ed un amico, ci trovammo a caricare la piatta ormeggiata al pontile con tutta l’attrezzatura necessaria per affrontare al meglio una battuta del genere.

Caricata la barca e acceso il motore mio padre prese la direzione del canal vivo, ancora al buio, navigando lentamente e con prudenza, guidato dal suo istinto e dalla conoscenza profonda del fiume, cosa quest’ultima che gli invidio ancora adesso nonostante siano passati quasi vent’anni.

Quel mattino in particolare fu accompagnato da vento e pioggia sin dalla mezzanotte precedente, quindi quando guadagnammo il canal vivo, trovandomi seduto a prua, fui investito da raffiche di vento e da spruzzi di acqua prodotti dal beccheggio della barca che aveva preso velocità e dalla pioggia che non cessava di cadere seppur meno copiosa rispetto a qualche ora prima.

Navigare in condizioni del genere richiese tutta l’esperienza di mio padre nel governare la barca, perché ancora oggi chi vive il fiume sa che quando tira vento sul Po il gioco si fa duro e serio, non bisogna mai e poi mai mancargli di rispetto, perché chi gli manca di rispetto non fa più ritorno a casa.

Mio Padre

Fui preso da un senso di smarrimento, mi sentii per un momento solo, quasi in preda allo sconforto, e come tutti i giovani appena più che ventenni, nonostante le esperienze vissute sotto le armi, fui portato a cercare il volto familiare di mio padre, l’istinto mi fece voltare la testa e lo vidi. Vidi un uomo, addirittura imponente che pareva controllasse ogni singolo fattore attorno a sé, ostentare una tale sicurezza in quello che stava facendo che mi sentii stranamente protetto. In quel momento capii che volevo, che dovevo assolutamente diventare come lui, un uomo di quello stampo e di tanta tempra. Sono poche le persone che possono vantare la mia stima e la mia ammirazione e sicuramente mio padre si trova al primo posto della lista. Oggi vederlo indebolito dagli eventi mi rattrista, ma ho capito che l’uomo che vede in suo figlio, ciò che sono diventato, lo inorgoglisce e lo fa sentire meno inerme e più franco. Molto probabilmente è consapevole del fatto che se sono quel che sono è buona parte merito suo.

Pervaso dal calore scaturito dall’imponente figura di mio Padre mi voltai guardando il buio davanti a me, stavolta mi venne da sorridere, ciò che prima mi sconfortò, fu sostituito dal desiderio di avventura, dalla voglia di vivere e di andare a caccia, ebbi il bisogno di sperare nelle anatre, che salutassero quella nostra prima battuta della stagione con una forte presenza e un buon passo.

Mentre la barca scivolava leggera e beccheggiando alzava spruzzi di acqua che mi investivano di continuo, cercai invano di capire quale sarebbe stata la meta destinata per la cacciata. Improvvisamente la sentii virare di dritta e con una mezza strambata di motore avvicinarsi alla riva.

Appostamento

Il primo a mettere i piedi in acqua fui io in quanto occupavo il posto a prua, dopo di me scese il nostro compagno di caccia, il Piero, che mi aiutò a trascinare la barca in secca mentre mio padre alzava il motore e sistemava con cura i tubi del serbatoio. Trascinammo la barca sulla secca per una quindicina di metri e buttammo l’ancora. Purtroppo, non potei fare sopraluoghi nei giorni precedenti la battuta quindi dovetti fidarmi del giudizio del Piero e di mio padre, i quali avevano più volte fatto delle uscite in barca durante l’estate e nei giorni prima per capire bene gli orari e le direttive del passo.

Chiesi a mio padre cosa intendesse fare e lui mi disse che il posto scelto per gettare la stampata si trovava in verità circa 40 metri più a valle, su uno sperone che sporgeva di più verso il centro del fiume, approdò prima mi spiegò, perché nel posto prescelto la profondità dell’acqua era vicina al metro, e dato che lui solo indossava lo scafandro da pesca preferì far scendere noi altri, che indossavamo i cosciali, in 20 centimetri di acqua per evitare inutili riempimenti degli stivali. Carichi come muli quindi iniziammo ad avvicinarci al posto prescelto.

Io ed il Piero capimmo di essere arrivati quando mio padre getto a terra il grosso sacco a rete porta stampi ricavato da un vecchio “Tremaggio” in disarmo. Iniziò così l’allestimento del nostro appostamento, mio padre si dedicò al piazzamento delle anatre vive e di quello del gioco, io allestii il capanno ed il Piero preso “lo Sgasc”(termine dialettale pavese che indica una falce col becco di pappagallo), si incaricò di reperire le cannette palustri necessarie a completare la mimetizzazione dell’appostamento. Finito il nostro lavoro entrammo nel capanno al riparo dalla vista acuta degli animali che ancora era presto ed il buio avvolgeva tutto. Come di consueto il Piero tirò fuori dalla bisaccia il suo fornelletto da campo e mise in caldo il caffè, quel fornelletto da campo era un cimelio militare appartenuto a suo padre, Alpino della divisione Julia, reduce della campagna di Russia assegnato all’ARMIR nel 1943. Ci trovammo chiusi tra le tele e le cannette del capanno seduti in attesa che salisse il caffè fissando quella luce fioca che veniva dal fornelletto, questo è uno dei ricordi più candidi che conservo gelosamente nella mia memoria legato alla mia gioventù venatoria. Credo che caffè così buoni al campo non li ho mai più bevuti.

I ferri del mestiere

Finito il caffè mio padre estrasse il fucile dal fodero e così facemmo tutti. Lui impugnava uno splendido Browning auto 5 calibro 12/70 con grilletto d’oro, canna da 71 cm strozzato a 1 stella, è l’unico semiautomatico che possiede tutt’ora, fu acquistato da mia madre nel 1971 come regalo di nozze, e di cui è gelosissimo. Il Piero invece preparò il suo Franchi AL 48 12/70, canna da 71 cm strozzato a 2 stelle ed io utilizzavo per la prima volta il mio nuovo Browning Gold Hunters calibro 12/89 con strozzatori mobile choke, quel giorno mi ricordo misi quello ad una stella, su una canna da 76 cm perché papà volle che la cacciata fosse incentrata sul carniere, quindi i tiri per la maggiore sarebbero stati effettuati in acqua, non al volo, per evitare feriti, o recuperi da effettuarsi con la barca. La sua filosofia è sempre stata: “Pochi, ma fatti bene e tutti i giorni”, non è mai stato un mattatore e là dove avrebbe potuto non si è mai fatto ingolosire da carnieri cospicui, il suo prelievo è sempre stato proporzionato al bisogno, 3 o 4 animali poi stop! “Domani è un altro giorno e si vedrà” queste sono le sue risposte più frequenti.

Ad ogni modo, sono rampollo di una famiglia che caccia da infinite generazioni secondo ferree convinzioni proprie, mio padre non fa eccezione per cui la cartuccia ideale per tutte le cacce si chiama Remington express da 36 grammi, piombo 4 o piombo 5 cambia poco, e quelle caricò nella sua arma, io invece optai per le Winchester Super Speed, in canna una 40 grammi piombo 4 e nel serbatoio 2 da 36 piombo 5, molto più veloci. Questo caricamento derivava dal fatto che quando mi portò con sé da ragazzino la prima volta a caccia sul fiume, papà mi insegnò che il primo tiro si fa in acqua il secondo ed il terzo con buona probabilità al volo, e non mi ha mai dato un insegnamento sbagliato, nell’incertezza ha sempre preferito tacere per poi informarsi.

Le anatre

Le anatre da richiamo intanto iniziarono a cantare, pian piano il giorno fece capolino attraverso la leggera foschia che sostituì poco prima la pioggia ormai debole non più sostenuta dal vento che mi aveva abbondantemente inzuppato mentre si navigava sul fiume. A regola le prime a giungere in zona avrebbero dovuto essere le alzavole, che da noi nel pavese si chiamano “Garganel” o “Garganin” in base a quale zona della provincia si appartiene, e così fu.

Un piccolo voletto di 4 uccelli fu adescato dalle anatre da richiamo, iniziò una curata lenta e dolce, passarono sopra al capanno ben 4 volte prima di decidersi a scendere in acqua.

Si abbassarono fino ad “ammarare” al di fuori del gioco. Mio padre non fu lesto a bloccarmi, sparai convinto che la canna da 76 cm super magnum potesse colpire il bersaglio là dove i fucili normali non potevano. Mi sbagliavo! Risultato della mia scarica fu vedere le 4 alzavole volare vie e prendermi un solenne liscebusso di mio padre che tra una bestemmia e l’altra minacciò di stracciarmi la licenza.

Grazie a Dio dopo meno di un quarto d’ora, un secondo volo di uccelli cominciò a sorvolare il gioco, furono più lesti dei primi a scendere, ma come i precedenti lo fecero fuori tiro. Mio padre mi bisbigliò qualcosa che io puntualmente non capii, nell’incertezza decisi che era più conveniente per me star fermo e dominare il mio impeto e la mia foga di sparare tipica della gioventù per evitare la gogna. Nuotando pian piano si avvicinarono al gioco, mio padre teso come una corda di violino iniziò il conto alla rovescia, 3 … 2 … 1 … DAI!!! Tutti e tre sparammo nel branco. Il buon Piero ricaricò lesto il fucile e aprì nuovamente il fuoco su un uccello ancora vivo e lo finì, mio padre usci fuori ed entrò in acqua per recuperare i capi abbattuti, ne contammo 7, 4 germani tra maschi e femmine e 3 fischioni maschi. Soddisfatto il mio vecchio rientrò nel capanno, strinse la mano a Piero, prese dal taschino della giacca la fiaschetta della grappa e brindò agli animali catturati, passò poi la fiaschetta a Piero che bevuto la passò a me, tanto che sorseggiavo con orgoglio il nettare della vittoria, mio padre mi fece notare che il mio nuovo fucile, contrariamente a quello che pensava, funzionò veramente bene. Questa sua precisazione giunse inaspettata ed era il risultato di una contesa in voga in quegli anni per cui i vecchi cacciatori sostenevano che i semiautomatici a recupero di gas ed i modelli con sistema di riarmo cinetico non erano affidabili, almeno non tanto quanto i vecchi rinculanti come gli Auto5, i Breda oppure i Franchi che ognuno di loro possedeva con orgoglio. Ovviamente noi giovani che frequentavamo assiduamente le armerie ogni minuto del nostro tempo libero sapevamo che quei fucili sarebbero stati il futuro, e non avevamo dubbi sulla loro validità, ma il nostro mondo, il mondo venatorio, è animato da mille conflitti tra generazioni o tra appassionati di metodi di caccia diversi, quindi perché spenderci su delle parole inutili quando i fatti possono dissipare i dubbi? Non cedetti a questa provocazione e feci finta di nulla sapendo che lui avrebbe recriminato su ogni tentennamento di quel fucile costato un occhio della testa al cui acquisto si era energicamente opposto suggerendomi di comprare qualcosa di usato, più affidabile e più a buon mercato.

Per circa una mezz’ora non vedemmo più nulla, dopo quel concerto che potevamo aspettarci? Fummo subito serviti di lì a poco, una coppia di germani scese dopo una lunga curata proprio nel canale appositamente lasciato al centro del gioco. Mi chiesero di sparare ed io li accontentai, aspettai che si mettessero a nuotare in parallelo e quando successe, mirando alla testa del primo aprii il fuoco. La Super Speed da 40 grammi fece divinamente il suo dovere e a quel punto non ci furono più dubbi sulla validità della mia arma e delle mie munizioni a cui il mio vecchio poteva appellarsi. Però, perché c’è sempre un però, non del tutto persuaso rientrando mi guardò e mi chiese di provare una di quelle cartucce 12/89 che lui e il Piero non avevano mai neanche visto, giusto per poterci trovare da ridire. Per quanto mi riguardava fino a quel momento non avevo mai avuto un fucile camerato 89 quindi ne sapevo quanto loro se non meno, in armeria chi le aveva provate diceva che erano ovviamente più lente di quelle normali o di quelle magnum e che a fermo o in acqua erano però molto efficaci quindi incerto decisi di provarci.

Camerai una Fiocchi da 60 grammi di piombo 3 e aspettai che qualche uccello arrivasse a tiro per vedere quanto fossero valide, passarono circa 40 minuti e alcuni fischioni curarono scendendo all’esterno del gioco, al limite del tiro utile. Nonostante passarono alcuni minuti questi non accennarono ad avvicinarsi al gioco, 4 presero il volo 2 scesero con la corrente restando fuori tiro, 3 si avvicinarono facendomi guadagnare 1 metro, decisi alla peggio di tirargli e così feci, brandeggiai il Gold Hunters e aprii il fuoco. Avvertii un boato assurdo e assordante, un rinculo madornale almeno per me a quei tempi, misti a bestemmie delle più sentite e colorite profuse da mio padre e dal Piero, perché non si aspettavano una “spingardata” del genere, tanto meno così a bruciapelo. Uscirono entrambi per andare a prendere tutti e tre gli uccelli colpiti, ancora frastornati dal boato immersi dalle loro stesse imprecazioni e da star fuori sulla battigia mi fecero promettere, tra gli insulti, che quelle bordate dopo quel giorno le avrei lasciate a casa.

Passammo poi la mattinata a discutere di tante cose tra il giungere di un volo e l’altro, tra cui il mio fucile, le mie cartucce da “cannone”, perché la stagione era ancora calda e le anatre di passo tardavano, perché tizio padellò una Lepre al covo sul Dosso della Noverina oppure che tizio l’altro prese 2 beccaccini nei campi del Molinetto o di quella coppia di fagiani tra i Tre pontini e la Fornace che non si riusciva ad andargli a tiro, o che Don Pietro, amante dello spinone e del beccaccino, servita la messa del mattino andò per il fosso della Cà Carnapa e trovò la moglie del dottor tal dei tali, noto avvocato, senza veli che urlava: “ODDIO muoio”  abbracciata al “Gustin” noto capo mastro muratore con le braghe calate e tanto altro. Non ci restò che smontare tutto una volta giunto il mezzo dì, caricare e rientrare. Con la luce mi godetti la gita in barca osservando la natura sulle sponde, respirando l’aria fresca di Ottobre, qualche piviere e qualche airone si involarono col rumore del motore Jhonson da 50 cavalli come per salutarci, mi sentii quieto e contento, già pregustavo la successiva avventura di caccia quando giungemmo al pontile dove ci aspettavano gli amici, per sentire come era andata la cacciata e per pranzare finalmente tutti insieme in Baracca come se fossimo, e lo siamo, una grande e numerosa famiglia.

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Alessandro Piccolo
Alessandro Piccolo
3 anni fa

QUESTA E’ LA VERA CACCIA E LO SPIRITO GIUSTO DI INTERPRETARLA COME UNA GRANDE FAMIGLIA

Stefano
Stefano
3 anni fa

Grazie Per il tuo sostegno, mi fa piacere che le mie tradizioni ed i miei valori siano condivisi da altri come me

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