Ci siamo lasciati nei due racconti precedenti (L’inizio di un Beccacciaio e Fu così che un cane divenne il mio cane ed una razza divenne la mia razza) che la mia passione per la caccia con il cane da ferma era agli albori e dopo un lungo cercare avevo trovato Diva, una Setter inglese di un anno.
Essendo il mio primo cane da caccia non avevo ben chiaro come funzionasse il percorso di dressaggio di un cane, vedevo Bindo fermare, consentire e riportare con decisione e credevo che con poco sforzo sarebbe stato così anche per Diva. Non ebbi tanto tempo per prendere confidenza con la cagna, agosto era agli sgoccioli e restavano solo altre tre settimane di Braccature prima dell’apertura della Caccia.
La prima sciolta
Iniziai a capire di che pasta fosse fatta quella canetta alla prima sciolta.
Sapevamo che era stata portata un paio di volte in qualche area di addestramento cani, ma per il resto era un “diamante grezzo” su cui lavorare, un po’ come me. Scegliemmo per quell’occasione un medicaio bello vasto al limitare di un grande bosco, così in caso di necessità avremmo potuto comunque tenere sott’occhio il cane per una distanza considerevole. Non avevo grandi aspettative, d’altro canto in canile si era dimostrata mansueta ed ubbidiente nonostante la giovane età, ma quello che successe alla sciolta ci lasciò allibiti.
Non appena aperto il moschettone del guinzaglio non un solo tentennamento, non una sola esitazione e si precipitò giù per il pendio in direzione del limitare del bosco in un galoppo forsennato, per ripiegare su sé stessa solo quando a noi era visibile come un piccolo puntino. Stormi di rondini rasentavano l’erba a caccia di insetti ed improvvisamente diventarono le prede (irraggiungibili) per quella piccola setterina. Rincorreva ognuno dei veloci insettivori che incrociava, da parte loro gli uccelli sembravano quasi deriderla con i loro volteggi sopra la sua testa e sia io che Massimo che mi aveva accompagnato quel giorno, constatammo che in quanto a venaticità ce ne era da vendere ma per tutto il resto, collegamento col padrone in primis, ci sarebbe stato da sudare.
Il resto delle braccature estive furono per me (e non per chi mi accompagnava che invece sembrava divertirsi molto nel vedermi spesso furente), a dir poco estenuanti. Credo non si possa contare il numero di fagiani che quella cagna riusciva a scovare praticamente ovunque, sia che il selvatico si fosse nascosto in un folto fosso, sia che si trovasse al centro di un inerpicato medicaio e tutti, malamente sfrullati senza che di ferme se ne vedesse neanche l’ombra. Massimo ed Italo che di cani ne avevano visti molti, mi rincuoravano dicendomi che al momento giusto avrebbe imparato e da lì le cose sarebbero cambiate, mentre io invece continuavo a sentirmi piuttosto demoralizzato.
L’apertura
Così passò anche agosto ed il resto di settembre e ci trovammo alla mia seconda apertura della Caccia, quella mattina cacciavamo in tre con i soliti Bindo e Dik affiancati dalla giovane Diva. Se all’inizio temevo che avrebbe rovinato le azioni degli altri cani capii subito che non era affatto interessata a loro durante la caccia, ma d’altro canto per spirito di competizione incrementava ancora l’andatura divenendo totalmente fuori controllo.
Nonostante il caldo “cacciò” con quel ritmo fino all’ora di pranzo, Massimo ed Italo avevano già due fagiani a testa ed io, che avevo perso tutta la mattinata a riprendere la cagna destra e manca ero a secco, senza aver ancora sparato una fucilata o aver potuto godere di una bella ferma.
Quel pomeriggio la lasciai a casa perché chiaramente distrutta dalle folli corse della mattina dietro ad ogni essere vivente, ed ebbi di nuovo modo finalmente di godere di un paio di ferme ed accostamenti come si deve assieme a Bindo e Massimo incarnierando finalmente un bel Fagiano; ma nonostante la soddisfazione per la cattura mi accorsi di non essere pienamente soddisfatto quasi come se mi mancasse qualcosa… non volevo prendere un fagiano e basta, io volevo cacciare con la mia cagna e prenderlo assieme a Lei!!
Il primo mese di caccia
Di lì la mia determinazione si rinnovò, ci sarebbe stato da sacrificarsi, da stare senza prede forse per un bel po’, ma io avrei cacciato solo con lei fino a che non avremmo preso il nostro primo fagiano ed avesse (avessimo) capito come cacciare insieme.
Il primo mese di caccia in solitaria fu estenuante, per quanti fagiani la cagna riuscisse a scovare venivano tutti malamente sfrullati, ed a distanze che non consentivano neppure di imbracciare il fucile, iniziai pure a dubitare che la ferma fosse prerogativa di quella piccola canetta…
Arrivarono i primi di novembre ed il mio carniere contava il solo fagiano abbattuto a Bindo per l’apertura, oltre che a qualche uccello preso nelle mattinate di fine ottobre al capanno; anche se è vero che l’abbattimento è il culmine della caccia, per me con tutta la brama degli inizi fu davvero difficile non demordere e continuare a perseverare nel mio intendo di divenire un “cacciatore da ferma”.
Il Giorno Decisivo
Fu così che “quel” sabato mattina non mi alzai presto, era appena avvenuto un deciso cambio di stagione e l’aria era notevolmente rinfrescata, mi preparai con calma ed andai al canile dove ad attendermi c’era come sempre un’entusiasta Diva saltellante e gonfia di gioia, la presi e la feci salire in macchina, mi sarei diretto ad una casa abbandonata nei dintorni della quale la settimana precedente avevamo scovato ben quattro fagiani, tutti chiaramente sfuggiti senza neanche sentire una fucilata.
Capii subito che tornare lì a distanza di così poco tempo fu un errore, la cagna riconobbe il posto ed una volta sganciata inziò subito ad esplorare forsennatamente il basso pacciame che circondava la casa colonica diroccata, completamente incurante del suo padrone ed a un’andatura tale che una ferma sarebbe stata a dir poco impensabile.
Dopo circa un’oretta in cui fui più io a seguire la cagna che il contrario, riuscii a riprenderla in mano quel tanto che bastava per indirizzarla verso una larga proda che si inerpicava su per un poggio, ai lati della quale si trovavano da una parte una vasta vigna e dall’altra uno spoglio ed ormai rado medicaio da seme.
Non giudicando la vigna terreno probabile per un incontro e trovandoci noi dalla parte opposta del medicaio, la cagna cacciava avidamente all’interno della proda quasi fosse uno spaniel, senza alcuna remore del fitto o di rovi. Cercai di tendere il passo ma ben presto gli scricchiolii ed il frusciare degli arbusti che mi segnalavano la sua posizione furono lontani e quasi impercettibili. D’altronde la pendenza era tanta e la cagna troppo veloce per le mie gambe… Fu proprio quando ormai ne vedevo né sentivo più niente che il fragore del frullo di un grosso maschio mi destò dai miei pensieri, giusto in tempo per vederlo innalzarsi un centinaio di metri più avanti come un indistinto puntino rosso scuro; neanche il tempo di imprecare che subito altre due femmine si involarono poco più avanti di dove era partito il maschio. Le seguii impotente con lo sguardo osservandole superare la cima della collina sottraendosi così in maniera definitiva al pericolo, fui assalito da un misto di sconforto e frustrazione… Imprecai non troppo sotto voce e inizia piano piano a risalire gli ultimi metri della collina per vedere che fine avesse fatto la cagna.
Sicuramente era partita alla rincorsa sfrenata del primo fagiano travolgendo anche le altre due, con un’eccitazione tale che ero convinto mi sarebbe stato difficile recuperarla. Giunsi al culmine del poggio qualche metro avanti da dove erano partiti gli animali ma della cagna nessuna traccia; spaziai con lo sguardo sia nella vigna che nei campi davanti a me ma non un filo d’erba si muoveva.
Dopo una decina di minuti di attesa iniziai a fischiare e chiamare la cagna a gran voce, iniziavo a preoccuparmi perché di solito dopo una lunga rincorsa rientrava sempre, come se volesse dimostrarmi che era stata brava ed aveva trovato un animale… ma questa volta nulla.
I minuti passavano ed i fischi non erano valsi a nulla, così pensai di spostarmi per andare a cercarla un po’ più avanti, quando un live tintinnio alla mia destra richiamò la mia attenzione. Cacciavo senza campano né beeper, ma al collo della cagna avevo sistemato un collare con una medaglietta per ogni evenienza, proprio quella piccola medaglietta urtando contro la fibbia del collare aveva emesso un trillo quasi impercettibile che solo in seguito avrei ricollegato a quel fortuito urto.
Tornai sui miei passi in un punto dove la fitta siepe spinosa era più rada e mi consentiva di dare un’occhiata dall’altra parte. La vidi quasi subito, quella macchia bianca schiacciata nella rada erba medica, una quarantina di metri da me al di là di quella “siepaccia”. Il cervello “collegò” ed in un secondo il cuore mi balzò in gola, per poi riprecipitare subito nello stomaco iniziando a martellare forsennatamente nel petto.
Quanto ero stato stupido lì tutto quel tempo a fischiare e chiamare quando lei era così vicina a me… ma quello non era il momento di rimproverarsi, e correndo in su e in giù iniziai a cercare un passo che mi consentisse di attraversare quel maledetto “muro”! Per una trentina di secondi che parvero durare qualche ora piombai in un panico indescrivibile, per la paura che l’animale volasse e vanificassi così con la mia incompetenza la prima ferma di Diva, poi mi decisi. Presi a corre verso l’alto lungo la proda che sulla cima del poggio si interrompeva e lasciva il passo per entrare nel medicaio, erano solo cento metri anche se in salita, ma li feci così di corsa che una volta arrivato in cima ero completamente senza fiato; barcollai ma senza fermarmi ed una volta passato di là nel medicaio iniziai subito a ridiscendere verso la cagna. In un batter d’occhio fui ad una quarantina di metri dal cane e rallentai la mia corsa, non volevo far involare accidentalmente l’animale, il cuore un po’ per la corsa un po’ per l’emozione, martellava talmente forte che lo sentivo nelle mie orecchie. Era uno spettacolo indescrivibile, schiacciata e lunga con la bocca che si apriva e si socchiudeva millimetricamente ad intervalli regolari, quando giunsi dieto lei leggermente spostato su di un fianco girò gli occhi senza muovere la testa osservandomi un attimo, per poi portarli nuovamente in direzione dell’usta…
Restai lì dietro la cagna assaporando il momento, ripetendomi che questa volta non dovevo assolutamente sbagliare, quando d’improvviso il frullo ovattato ma ugualmente fragoroso di una piccola fagiana che “esplose” dall’erba mi svegliò!! Imbracciai il fucile e lasciai andare istantaneamente la prima fucilata alla cieca senza mirare, non la presi, ma non poteva andare così; schiacciai forte la guancia contro in calcio del fucile e seguii quella figura marroncina che già sembrava così piccola fino a che non sparì dietro alla canna del fucile e tirai il grilletto. Un nuvolo di penne si sollevò in aria e la fagiana precipitò inerme nel prato con la cagna che subito sopraggiungeva. Dalla gioia iniziai a farfugliare dei confusi “porta!” alla cagna, (che poi chi glie lo aveva mai insegnato?) che di tutta risposta abboccò subito e con tenacia l’animale iniziando a girarmi intorno scodinzolante. Era bellissima e quando infine si decise a venire verso di me l’accarezzai e l’abbracciai osservando quella bella fagiana che si era concessa a noi e che così tanto era significata.
Non tolsi l’animale di bocca alla cagna ma semplicemente la legai, e coprimmo il tragitto che ci separava dalla macchina in quel modo: cacciatore, cane al guinzaglio e fagiano in bocca…. Con una lezione che aveva cambiato entrambi e creato un legame indissolubile.