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L’inizio di un Beccacciaio

Come ogni racconto che si rispetti dobbiamo iniziare dal principio. Sono un ragazzo Toscano di ventisette anni che pratica la caccia con il cane da ferma da quasi dieci, posso affermare senza ombra di dubbio alcuna che la passione per questa caccia scandisce ogni singolo giorno della mia vita condizionando scelte ed azioni quotidiane.

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Non sono nato in una famiglia di cacciatori pur essendo la Toscana terra di Caccia per eccellenza, lo era mio nonno paterno ma purtroppo non l’ho conosciuto nel periodo in cui praticava l’arte venatoria.
La prima volta che andai a caccia fu quando il padre della mia ragazza, cacciatore da sempre, insistette affinché lo accompagnassi per il giorno dell’apertura della caccia in Val di Chiana dai suoi suoceri dove era usanza per lui che si trascorresse quel giorno.
Sono sempre stato un ragazzo con uno stretto legame verso la natura, amavo i boschi ed i campi, i laghi ed i fiumi dove pescavo ma la caccia non era mai rientrata nei miei pensieri, molto semplicemente perché non ce ne era stata mai occasione…

Ovviamente accettati contento più per l’invito che per altro ed il terzo sabato di settembre partimmo alla volta di Montepulciano dove vivevano i suoi suoceri e dove avremmo cacciato l’indomani.
Alla sera dopo una cena veloce ed aver sistemato le ultime cose andammo a letto che l’indomani avremmo dovuto alzarci presto, quella notte dormii tranquillo ignaro delle emozioni che il giorno seguente mi avrebbe riservato e sarebbe stata anche l’ultima notte di sonno tranquillo per me prima dell’apertura della Caccia.

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La sveglia suonò presto mi vestii ed una volta sceso Massimo ed Italo mi stavano già aspettando vestiti di tutto punto, un boccone veloce ed ancora avvolti nelle tenebre attraversammo il piazzale verso i box dei cani che nelle loro cucce ci accolsero frementi uggiolando ed abbaiando; quel giorno avremmo cacciato con due Espanguel Breton: Bindo di quattro anni di Massimo, che tutt’ora è con noi anche se in pensione da un paio d’anni, e Dik di cinque di Italo, che purtroppo ci ha lasciato qualche giorno fa’;

Quel giorno per me avrebbe segnato una svolta anche se ancora non ne ero consapevole…

Attendemmo il levarsi del sole davanti al cancello con i cani al guinzaglio, di fronte alla vigna dove avremmo sciolto i cani ed avremmo iniziato così quella giornata di caccia. Non appena la luce fu sufficiente e già i primi spari dei più mattinieri rimbombavano in lontananza fummo pronti ed anche noi sciogliemmo i cani ed iniziammo così la nostra giornata.

Io seguivo da dietro ed osservavo quei due cani rampare a destra e sinistra per poi rientrare e partire nuovamente alla ricerca del selvatico, I paesaggi di quelle terre erano una cornice incantevole tra vigneti, piccoli boschi, fossi e seminativi; un vero paradiso.
Trascorsero così le prime due ore di caccia, quella non era stata una grande annata ne parlavano la sera precedente, le forti piogge estive avevano condizionato le cove primaverili dei fagiani che quell’anno risultavano pochi ed elusivi.

Avevamo già camminato per qualche chilometro e sinceramente quello che in me inizialmente era stato un vivido interesse cominciava a scemare a causa dell’inattività (come un cucciolo che non conosce bene il suo mestiere e dopo tanto girare a vuoto perde d’interesse io mi stavo distraendo), ma per fortuna i cani il loro mestiere lo conoscevano bene e nonostante il caldo continuavano imperterriti nella loro ricerca..

Italo accorgendosi di tutto questo per ravvivare il mio interesse mi raccontò di quando i tempi erano altri e lungo il fosso in cui cacciavamo i fagiani la facevano da padroni e prima ancora di loro le starne.
Così chiacchierando passammo un guado e costeggiando un altro fosso tra due grandi vigne cominciammo a risalire una piccola collina, sul limitare della quale un muro di rovi faceva da cornice ad un vasto campo di “pacciame” al centro del quale era situato un piccolo laghetto di irrigazione.

Una volta entrati nello “sporco” Massimo ed Italo con i rispettivi cani si separarono per cercare di coprire il maggior terreno possibile, con gli ausiliari che solo ogni tanto si intravedevano lavorare tra le erbacce alte. Mentre affiancavo Italo con Dik che risaliva una parte del campo sentimmo Massimo chiamare dal basso: “Italo!! Italo!! Bindo è fermo!!” e subito ci precipitammo in direzione della chiamata.
Io senza ben capire la situazione dal momento che avevo solo una vaga idea di cosa stesse succedendo (avevo capito che era stato sì scovato un animale però mi sfuggiva decisamente la dinamica) affiancai Italo nella discesa del pendio fino a giungere sulla destra di Massimo.

Bindo era fermo, immobile come una statua sul limitare del pacciame dove l’erba era più bassa, ogni suo muscolo era in tensione ed a intervalli regolari apriva e chiudeva millimetricamente la bocca… Italo si portò subito leggermente avanti di modo che ovunque fosse frullato l’animale ci sarebbero state così buone possibilità di colpirlo.

Proprio mentre ero lì che osservavo questa incredibile scena con gli occhi pieni del gesto del cane che contro ogni atavico istinto si arrestava e si bloccava di fronte al selvatico per consentire al cacciatore una possibilità di tiro, il frullo mi destò e quasi come un boato un vecchio maschio dalla lunga coda sentendosi ormai circondato si incolonnò sopra le nostre teste per poi deviare velocemente verso il lago…

Con grande sorpresa i Cacciatori non spararono subito tanto che dentro di me imprecai, l’adrenalina era stata davvero tanta e vedere sfuggire quell’animale così abilmente lavorato dal cane mi fece divampare in qui tre/quattro secondi prima dell’unisono sparo dei fucili; l’animale si era allontanato quel tanto che bastava da consentire alle due fucilate di andare a segno (cosa che avrei poi imparato a mie spese negli anni successivi), le rosate di piombo lo investirono e l’animale precipitò lasciandosi dietro una pioggia di penne.

Ancora con gli occhi pieni di quella scena vidi Bindo tornare dal suo padrone con quel grosso fagiano in bocca, fremente di gioia e soddisfazione. Massimo al riporto perfettamente eseguito premiò il cane con un boccone e tante carezze chiamandomi per farmi vedere l’animale; Anche Dik rientrò dopo gli spari e pure a lui che tanto duramente aveva cacciato fu fatto abboccare l’animale.

Durante il resto della giornata prendemmo altri due fagiani ed altri due ci sfuggirono frullando lontani dalle ferme dei cani… ad ogni ferma che vedevo in me qualcosa si accendeva emozionandomi come non mai, fino a quando col sopraggiungere della sera stanchi ma felici rientrammo a casa.

Dopo sei mesi avevo il mio porto d’armi ed una passione viscerale si era impadronita di me… Più che altro era stato quel legame ad intrigarmi, quel legame tra cane e cacciatore senza il quale per me oggi non esisterebbe la caccia, quel legame che adesso ho con le mie Setter e del quale non potrei fare a meno per nulla al Mondo.

Quando la sera dopo il lavoro vado dai cani per prendermi cura di loro, mi soffermo sempre un po’ di più da Bindo, ormai vecchio e un po’ sordo, perché se non fosse stato per lui otto anni fa’ mi sarei perso un’infinità di emozioni, emozioni che adesso ricerco nel folto di boschi lontano da tutti, con i miei cani e con chi come me non potrebbe mai fare a meno di tutto questo.

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