Un’agricoltura a misura di fauna selvatica. L’esempio del Conservation Grade
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I cambiamenti delle tecniche di coltivazione che sono avvenuti negli ultimi decenni hanno causato una drastica riduzione della biodiversità animale negli ambienti agricoli. Le principali trasformazioni riguardano l’aumento delle dimensioni degli appezzamenti, la diffusione della monocoltura, la forte riduzione dei margini erbosi e delle siepi campestri, il massiccio utilizzo di diserbanti ed insetticidi ed una generale riduzione della copertura erbacea.’
Il più evidente effetto di questi cambiamenti lo si osserva sull’avifauna tipica degli ambienti agricoli (i cosiddetti farmland birds). Queste specie sono monitorate a livello europeo proprio perché sono considerate degli ottimi indicatori della salute delle nostre campagne. Purtroppo gli indici relativi a questi uccelli sono negativi in tutta l’Unione Europea ed il declino non sembra arrestarsi. Sebbene a livello di opinione pubblica non ce ne sia ancora la consapevolezza, la drammatica diminuzione dell’avifauna degli ambienti agricoli è forse la maggiore emergenza ambientale dell’Unione Europea. In soli quindici anni, secondo un report francese, abbiamo perso un quarto delle popolazioni di allodole. Dal 1970 al 2015 si stima che le popolazioni di farmland birds siano diminuite del 56%.
Agricoltura biologica e diversità delle colture
Le politiche agro-ambientali adottate dall’UE non hanno dato alcun risultato tangibile ed i sussidi agricoli comunitari sembrano svolgere addirittura un ruolo negativo. Nei paesi dell’est Europa che non appartengono all’EU la situazione di queste popolazioni è invece in miglioramento. La stessa agricoltura biologica, nonostante i suoi indubbi vantaggi per l’ambiente, spesso sembra raggiungere risultati modesti. Infatti, l’applicazione dei principi dell’agricoltura biologica può essere molto variabile: alcuni studi hanno evidenziato che molte aziende certificate come biologiche, pur rispettando i regolamenti previsti per questo tipo di agricoltura, si discostano dai principi di base che l’hanno ispirata.
La ricerca in campo agro-ecologico ha messo in evidenza che il fattore che maggiormente determina l’abbondanza dell’avifauna campestre è la diversità delle colture praticate. In questo modo non solo si creano ambienti diversi utili a queste specie nella varie stagioni dell’anno ma, grazie alle rotazioni colturali, c’è meno bisogno di ricorrere ai presidi chimici per combattere sia le erbe infestanti che gli insetti dannosi. Se vogliamo recuperare queste specie (fra cui diverse di interesse venatorio) e la biodiversità animale degli ambienti agricoli dovremmo incoraggiare i coltivatori, tramite opportune politiche agricole, a differenziare maggiormente le colture, a ricorrere maggiormente alle rotazioni e a lasciare piccoli spazi incolti (ma gestiti).
Secondo un recente studio francese è possibile ridurre del 42% l’utilizzo di pesticidi senza alcun effetto negativo né sulla produttività, né sul profitto economico. E’ proprio il maggior ricorso alle rotazioni che consente la riduzione dei presidi chimici ed in particolare dei diserbanti i cui effetti si riversano su tutta la catena alimentare. Infatti i diserbanti riducono le erbe infestanti, ma anche gli insetti ad esse associati che sono quelli di cui si nutrono gran parte delle specie di avifauna in questione. Anche le specie granivore come starne, pernici e fagiani, nella fase iniziale della loro vita hanno una dieta prevalentemente insettivora. Una delle cause principali dell’estinzione della starna è legata proprio a questo aspetto.
Un’esempio dal Regno Unito: il Conservation Grade
Un esempio veramente interessante di agricoltura eco-sostenibile e favorevole alla fauna selvatica viene dal Regno Unito e prende il nome di Conservation Grade, espressione di non facile traduzione in italiano che indica l’adozione di tecniche agricole favorevoli alla conservazione della natura (Agricoltura Eco-Sostenibile). Si tratta di un originale protocollo di coltivazione, basato su solide evidenze scientifiche derivate dalla ricerca nel campo dell’argo-ecologia, adottato da alcuni agricoltori in cambio di un prezzo “premium” ottenuto per i loro prodotti. In Inghilterra è un marchio ben conosciuto ed apprezzato dai consumatori. Consiste in un insieme di tecniche e di accorgimenti che hanno lo scopo di favorire la biodiversità insieme alla produzione agricola. Gli agricoltori che aderiscono a questo marchio devono riservare almeno il 10% della loro azienda in habitat per la fauna selvatica. Questi habitat sono realizzati e gestiti per creare condizioni ottimali per promuovere la biodiversità dell’azienda agricola; comprendono:
- 4% di fiori selvatici per offrire nutrimento e rifugio agli insetti impollinatori come api e bombi. Questo insetti impollineranno anche le colture agricole.
- 2% di colture per l’avifauna selvatica come il triticale, il ravanello, il cavolo da foraggio,la quinoa ecc in modo da offrire alimentazione agli uccelli in inverno ed all’inizio della primavera.
- 2% di graminacee pratensi (erba mazzolina, festuca, loglio, poa). Queste aree costituiscono un rifugio per ragni, coleotteri e piccoli mammiferi che a loro volta favoriscono i rapaci notturni come il barbagianni. Questi appezzamenti sono di norma realizzati sui margini delle colture.
- 0,5% rigenerazione naturale seguente a coltivazione. Serve a favorire il recupero di specie erbacee rare ed a cerare condizioni ideali per la nidificazione dell’avifauna come allodole e pavoncelle.
Le aziende agricole che aderiscono al C.G. non possono utilizzare alcuni insetticidi come gli organo-fosfati, i piretroidi di sintesi, ma non vi è un bando totale della chimica. Inoltre ogni azienda deve annualmente presentare un piano ambientale complessivo, partecipare agli eventi formativi del consorzio e sottoporsi ad un audit indipendente del protocollo. Il consorzio inoltre aiuta gli aderenti nella commercializzazione dei prodotti.
Come si può facilmente comprendere si tratta di misure che vengono in gran parte incontro ai problemi di cui si è accennato all’inizio e utili a contrastare la riduzione della biodiversità delle nostre campagne. Studi scientifici indipendenti hanno dimostrato che l’approccio del Conservation Grade consente un notevole incremento della biodiversità rispetto alla coltivazione convenzionale. Gli esperimenti hanno mostrato un incremento del 41% dell’avifauna e una presenza di insetti impollinatori maggiore di 30 volte. In sintesi il Conservation Grade consente vantaggi in termini di conservazione della biodiversità comparabili a quelli della agricoltura biologica senza per questo rinunciare totalmente ai vantaggi produttivi offerti da quella convenzionale.
Un’agricoltura su misura per la Aziende Faunistico Venatorie
Questo tipo di agricoltura, come si può facilmente comprendere, potrebbe trovare uno spazio anche nel nostro paese e sembra essere tagliata su misura per la Aziende Faunistico Venatorie. Infatti questa concessione è legata proprio a finalità faunistiche ed ambientali e il protocollo in questione certamente favorisce le specie di interesse venatorio quali i galliformi e la lepre. Non solo, ma fra le misure aggiuntive previste vi è persino l’alimentazione supplementare dell’avifauna per favorire specie target come il passero, lo zigolo, lo strillozzo e la starna da effettuare con granaglie od altri semi, pratica estremamente utile anche per gli altri fasianidi.
C’è da augurarsi che il mondo dei produttori di selvaggina, magari anche tramite la loro associazione, sappia cogliere questa opportunità, magari adattandola alle esigenze del nostro paese. Le A.F.V. dovrebbero diventare un modello per la gestione faunistico-venatoria anche per dimostrare che la caccia tradizionale è uno straordinario strumento di conservazione della biodiversità.
Francesco Santilli,
Agronomo e Tecnico Faunistico