Fagiano, cause ecologiche e gestionali del declino e possibili soluzioni
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Le popolazioni di fagiano selvatico sono molto diminuite in tutta Europa negli ultimi due decenni, sebbene vi siano aree dove questa specie continui ad essere abbondante. La riduzione della consistenza è spesso mascherata da ripopolamenti artificiali con animali di allevamento, ma la crisi delle popolazioni selvatiche è stata registrata in vari paesi come Austria, Germania e Regno Unito.
L’agricoltura intensiva fra le cause del declino
Si tratta certamente di un fenomeno multifattoriale ma che ha la sua origine principale nella perdita di biodiversità degli ambienti agricoli. Infatti parallelamente al declino del fagiano si nota la costante riduzione di tutta l’avifauna tipica delle campagne (i cosiddetti farmland birds). Tali specie sono monitorate a livello europeo e gli andamenti sono costantemente negativi e non accennano né ad un recupero né ad una stabilizzazione. Dal 1970 al 2015 si stima che le popolazioni di queste specie siano diminuite del 56%. La monocoltura e l’utilizzo indiscriminato di insetticidi e diserbanti sono fra le cause di questo fenomeno. Questi ultimi determinano la riduzione della presenza di insetti che rappresentano il cibo principale per i fagianotti nelle prime settimane di vita.
La poca varietà di colture praticate (monocoltura o oligocoltura) inoltre riduce la disponibilità di semi e di luoghi di rifugio per molti mesi all’anno soprattutto durante il periodo che precede la riproduzione. Le lavorazioni effettuate subito dopo la raccolta dei cereali ed il conseguente interramento delle stoppie determina un’altra grave riduzione dell’habitat per questa specie così come per tutta l’avifauna degli ambienti agricoli.
L’aumento dei predatori
A ciò si deve aggiungere un altro importante fenomeno: l’aumento di predatori generalisti ed adattabili come corvidi e volpe che si avvantaggiano di un ambiente monotonizzato e delle fonti alimentari di origine antropica sempre più presenti sul territorio: discariche, immondezzai ecc. In questo quadro non si deve dimenticare che anche l’aumento della presenza del cinghiale può avere un impatto pesante. E’ stato stimato che questa specie può essere responsabile di oltre il 25% delle predazioni sui nidi di fagiano.
Il problema dell’immissione di animali d’allevamento
A questa crisi il mondo venatorio ha risposto principalmente immettendo massicciamente animali di allevamento, ma questo invece di risolvere il problema lo ha esacerbato. L’immissione di questi animali, oltre a favorire la presenza dei predatori, non ottiene alcun beneficio perché questi soggetti non sono assolutamente in grado di contribuire alla riproduzione naturale. Una recente ricerca condotta in Inghilterra ha mostrato che l’efficienza dei ripopolamenti tende a diminuire nel tempo, probabilmente perché oltre a diminuire la qualità dell’habitat è diminuita la qualità della selvaggina allevata.
Infatti è noto che l’allevamento, nel corso delle generazioni tende a modificare gli animali rendendoli più domestici e quindi meno adatti a sopravvivere nell’ambiente selvatico. La mancanza del contatto con i genitori naturali inoltre impedisce l’apprendimento di molti moduli comportamentali fra cui quelli di difesa dai predatori. Inoltre le alte concentrazioni di fagiani che si raggiungono negli allevamenti tendono a favorire lo scambio di agenti patogeni quali i parassiti intestinali che rendono questi soggetti più deboli e più facilmente predabili dai carnivori selvatici. Un buon ambientamento utilizzando recinti a cielo aperto può attenuare questi fenomeni, ma non risolverli totalmente.
L’esempio dell’Allerton Project
Da questo punto di vista può essere emblematico un esperimento condotto in Inghilterra (l’Allerton Project) iniziato oltre vent’anni fa. In questa riserva di caccia di oltre 300 ettari, dal 1992 al 2001 è stata gestita una popolazione selvatica di fagiano attraverso interventi sull’habitat agricolo (miglioramenti ambientali), l’alimentazione supplementare effettuata con mangiatoie dislocate su tutto il territorio dell’azienda e attraverso un professionale controllo dei predatori generalisti (volpe e corvidi). I risultati sono stati eccellenti come si può vedere dal grafico allegato.
A partire dal 2002 è stato sperimentalmente sospeso qualunque intervento di controllo dei predatori e la popolazione di fagiano è cominciata a declinare vistosamente. Nel 2007 è stata sospesa anche l’alimentazione supplementare che ha provocato una ulteriore contrazione della consistenza. Nel 2011 si decide di riprendere il controllo dei predatori, ma contemporaneamente si passa ad una gestione basata sull’immissione di fagiani di allevamento (con conseguente attività venatoria “all’inglese”). La consistenza della popolazione registra un certo recupero, ma siamo ben lontani dai livelli degli anni ‘90 soprattutto a causa del basso successo riproduttivo dei soggetti di allevamento immessi. Alcune evidenze suggeriscono che le femmine di allevamento siano suscettibili alle patologie proprio durante il periodo chiave della riproduzione.
Cosa ci insegna quest’esperienza
Le indicazioni che si possono ricavare da quest’esperienza sono le seguenti:
- Il miglioramento dell’habitat è la via più naturale ed ecologica per preservare le popolazioni di fagiano selvatico.
- Il controllo dei predatori generalisti come volpe e corvidi è una misura indispensabile per la conservazione delle popolazioni di galliformi (e di molte altre specie tipiche dell’habitat agricolo) e non solo per aumentare la resa venatoria
- L’alimentazione supplementare è una misura estremamente utile per sopperire alle carenze alimentari causate dai moderni sistemi agricoli
- E’ illusorio pensare di sostituire la gestione delle popolazioni selvatiche con l’immissione di fagiani di allevamento intensivo. Per quanto riguarda quest’ultimo aspetto, occorre intraprendere alcune azioni per risolvere i problemi di carattere genetico, comportamentale e sanitario connessi con l’allevamento.
Un prelievo svincolato dalla reale consistenza della specie
Per quanto riguarda il nostro paese dobbiamo inoltre rilevare che spesso si registra un prelievo venatorio eccessivo e svincolato dalla reale consistenza della specie. Ciò dipende in gran parte dal comportamento scorretto ed irresponsabile di una piccola minoranza dei cacciatori. Secondo un’indagine realizzata in Toscana alcuni anni fa è risultato che solo il 10% dei cacciatori compie un prelievo di oltre 20 fagiani a stagione, ma il prelievo realizzato da questa minoranza costituisce il 36% del totale dei capi abbattuti. Questo significa che c’è una minoranza di cacciatori che opera un super-prelievo ai danni della comunità che rischia di rendere insostenibile, almeno nel lungo periodo, la caccia al fagiano. Occorre quindi mettere a punto dei sistemi gestionali ed organizzativi che limitino o impediscano questi comportamenti.
Come si può vedere non esiste una facile ricetta per ripristinare delle buone consistenze, ma occorre lavorare a 360° su tutti i fattori che influiscono sul declino di questo galliforme.
Francesco Santilli
Agronomo e Tecnico Faunistico