Fagiani “Pronta Caccia”: una gestione priva di etica e d’intelligenza economica
Negli ultimi anni abbiamo smesso di gestire le popolazioni naturali di fagiano, sostituendole con il “pronta caccia”. È giunto il momento di smetterla, siamo chiamati a qualcosa di più grande e più nobile di ciò che stiamo facendo ora.
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Fin dal medioevo il fagiano è stato immesso in numerosi territori europei e mondiali con più o meno fruttuosi risultati. Non è quindi una di quelle specie per cui l’intervento umano si è manifestato negli ultimi anni creando i danni e il caos che ben conosciamo. Alla luce della storia e delle conseguenze che in passato queste azioni hanno avuto, non possiamo definire sbagliato immettere capi di questo selvatico sul territorio nazionale. I ripopolamenti del passato, però, hanno avuto senso e seguito laddove sono stati pensati come nuova linfa da donare a popolazioni caratterizzate da una buona produttività naturale e da una discreta salute. Questo è avvenuto spesso grazie alla grande capacità di adattamento di questo animale che ha saputo modificare le proprie abitudini in base ai territori che si è trovato ad abitare. Ultimamente, invece, i ripopolamenti hanno tutt’altro fine, non più quello di aiutare popolazioni esistenti, bensì quello di crearne di nuove che esistano giusto il tempo di una stagione venatoria. Motivo per cui nella maggior parte delle regioni i lanci primaverili sono stati drasticamente ridotti in favore di quelli pronta caccia.
Per quanto riguarda il nostro Paese questa specie presenta popolazioni frammentate che non possono essere definite autosufficienti se non in pochissimi casi in cui l’esercizio venatorio è vietato. Le suddette popolazioni hanno cominciato a presentare difficoltà nel sopravvivere già sul finire del secolo scorso, ma ancora nei primi anni duemila i massicci e capillari ripopolamenti le hanno mantenute in vita. Sfortunatamente negli ultimi anni le scelte gestionali si sono orientate diversamente, modificando rapidamente le dinamiche di popolazione.
Attualmente ci ritroviamo con una situazione drammatica che abbiamo palesemente smesso di gestire. Il fagiano rimane uno degli animali più cacciati in Italia, ma sono pochissimi gli ambiti che sperimentano azioni gestionali finalizzate alla creazione di popolazioni selvatiche. Al giorno d’oggi trovare una nidiata in natura è un’ardua impresa, segno che il fagiano non si riproduce quasi più in libertà. Certo, potremmo anche dirci che va bene così, che questa specie non è autoctona, che gli habitat sono cambiati o che non sono mai stati idonei a essa. Tutte espressioni che hanno un fondo di verità, ma che si scontrano fortemente con i comportamenti che i cacciatori stanno mettendo in atto.
Azioni economicamente dispendiose e che fan comodo a pochi
L’attuale gestione del fagiano consiste nel liberare ingenti quantità di capi pronta caccia con il solo fine di fornire animali da abbattere nelle ore successive. Questo comportamento è inaccettabile per diverse ragioni.
Innanzitutto, la spesa economica è enorme e pesa sulle spalle di tutti i cacciatori. Basti pensare che un ATC lombardo di medie dimensioni spende annualmente decine o anche centinaia di migliaia di euro in pronta caccia, a fronte di una quota d’iscrizione che oscilla tra i 100 e i 150€ e carnieri medi che raramente superano i 4-5 capi a stagione. Dato, quest’ultimo, che possiamo solo ipotizzare attraverso un confronto verbale con molti cacciatori, poiché quasi mai quasi mai questo dato viene diffuso degli ATC. Un aspetto che risulta indicativo di quanto poco interessi ai comitati di gestione sapere, e far sapere, dove finiscono i fagiani liberati, quanti sopravvivono e per quanto, tutti dati che si potrebbero tranquillamente desumere da uno studio sui tesserini. A conti fatti, se non fosse per la passione che muove tutti noi, costerebbe forse meno recarsi in un centro per il tiro a volo e comprare la carne di selvaggina da un qualsiasi allevamento.
Come se non bastasse, sui vari gruppi di cacciatori si trovano ogni anno lamentele sul numero di selvatici presenti sul territorio che sembrano non bastare mai perché si sa, se si paga si esige di trovare animali per tutta la stagione. Della qualità dei suddetti animali non si lamenta quasi mai nessuno e questo è davvero preoccupante. Non è più importante incontrare un fagiano di qualità che dia del filo da torcere sia al cacciatore che all’ausiliario, ma incontrarne tanti, che ci corrono innanzi a testa alta come le migliori galline da pollaio.
La conseguenza è semplice, le migliaia di fagiani liberati in pochi luoghi nel medesimo giorno riempiono i carnieri delle poche uscite successive e già dopo una settimana di quei fagiani non c’è più traccia; buona parte sono finiti nei freezer di pochi cacciatori e gli altri nelle pance di tutti quei nocivi che anche grazie ai nostri ripopolamenti possono permettersi di prolificare e moltiplicarsi. Per essi, nei mesi autunnali il cibo non manca mai.
Inoltre, è innegabile che con una gestione di questo tipo tutti pagano la quota, ma solo i soci addetti ai lanci e i loro amici la mattina sanno con precisione dove recarsi prima che lo faccia qualcun altro, così come sanno quanti capi sono stati liberati in quel luogo in modo da non correre il rischio di lasciarne indietro qualcuno. Tutti gli altri se ne tengono volontariamente alla larga per non partecipare a un’azione così poco eroica. Quindi, tutti sono d’accordo nel pagare di tasca propria dei capi che solo altri preleveranno oppure è il sistema che presenta delle falle e coloro che decidono di gestire in questo modo i ripopolamenti sono anche gli unici che ne hanno un vantaggio, seppur di dubbio gusto etico e venatorio? In entrambe le opzioni andare avanti così è insostenibile ed è ora di mutare le cose. Ma il cambiamento non verrà mai da quei pochi che questa situazione l’hanno voluta, ricercata e creata per un vantaggio personale che nuoce a tutto il mondo venatorio.
Una gestione eticamente aberrante
Oltre alla questione economica, che riprenderemo più avanti, dobbiamo considerare l’aspetto etico di questa modalità di gestione.
Quando difendiamo la nostra passione da attacchi sconsiderati di ambientalisti e animalisti ci riempiamo la bocca di frasi come “l’uomo ha sempre cacciato fin dal giorno in cui è comparso sulla terra” o “noi cacciatori siamo i veri guardiani dell’ambiente e della fauna”; ma possiamo davvero definire caccia quella che compiamo liberando poveri fagiani nati e cresciuti in gabbia il sabato sera per poi farci trovare la domenica mattina alle prime luci dell’alba in quello stesso campo con i nostri perfetti ausiliari per ammazzarne il più possibile? Io credo di no e il problema etico può essere letto da almeno due punti di vista.
Innanzitutto, dal punto di vista del nostro ruolo per l’ambiente e la salvaguardia della fauna. Ormai da tempo la caccia ha assunto un volto nuovo che si basa sulla scienza e sui dati, pensiamo a tutto il mondo della caccia di selezione. In un’epoca in cui tutto deve essere ecosostenibile e rinnovabile non possiamo permetterci di considerare la caccia qualcosa di diverso. Il prelievo deve essere sostenuto dall’ambiente e dalle popolazioni e le risorse, intese come individui di fauna selvatica, devono essere rinnovabili. Un aiuto ci può stare per far fronte all’intervento dei nocivi, dell’agricoltura, delle strade e così via, ma non possiamo pensare di inserire nel nostro carniere centinaia di fagiani in un territorio che ne conta, in primavera, poche decine. Tutti i cacciatori devono entrare in quest’ottica, come ci sono entrati quelli che fanno selezione o caccia in alta montagna: se la natura possiede poco dobbiamo prendere poco.
Il secondo punto di vista è quello della società che ci sta attorno che appare, per ora, dormiente e ignora queste dinamiche, ma che non lo sarà per sempre. Immaginiamo cosa vorrebbe dire per il mondo venatorio se le associazioni che hanno come loro primario obiettivo la lotta alla caccia iniziassero a parlarne. Se cominciassero a spifferare a ogni giornale o TV che compriamo animali allevati in gabbia per ucciderli senza pietà il giorno dopo la liberazione. Cosa ne sarebbe della nostra credibilità e della nostra utilità ambientale che ancora ci tengono stancamente in vita come realtà sociale?
Una gestione priva di lungimiranza
Questo tipo di gestione non ha alcuno sguardo sul futuro, non ha un progetto da seguire e tanto meno la speranza di cambiare le cose. L’assenza quasi totale di progettualità è sottolineata dal modo in cui i soldi vengono spesi. I miglioramenti ambientali e i lanci di individui riproduttori sono una minima parte dei bilanci. Non si lavora per avere fagiani di buona qualità l’anno successivo, ma solo per averne tanti durante qualche giornata di caccia.
Questo rende l’arte venatoria una passione vuota che non può essere in grado di conquistare i giovani. Essi hanno al giorno d’oggi mille distrazioni e non si appassioneranno mai a un’attività che ha così poco di sentimentale. La conoscenza degli animali e delle loro abitudini non è più al centro della nostra attività, lo sparo lo è, ma ci sono modi più semplici, meno costosi e più entusiasmanti di tirare il grilletto. La caccia è molto di più di questo, è essere un tutt’uno con l’habitat e con le specie selvatiche, conoscerle, studiarle, cercarle e spesso non incontrarle in attesa di quel singolo istante dove la fatica trova la sua motivazione e il cuore aumenta i battiti perché conosce la preziosità di ciò che sta vivendo. La caccia è amore appassionato per la natura e i suoi abitanti per cui il cacciatore dovrebbe essere pronto a fare di tutto. Senza investimenti nel futuro le cose non cambieranno da sole.
Il dovere della caccia in una realtà in cui possiamo essere gli unici a provare
Qualcuno potrebbe commentare che tutte le cose scritte qui sopra non sono belle, ma sono le uniche possibili se si vuole continuare a sparare qualche colpo al fagiano; beh, magari potrebbe anche aver ragione, ma qualsiasi tentativo, anche non andasse a buon fine, sarebbe meglio di questo lento e inerme declino. Perché ora facciamo tutto questo con il fagiano e a breve faremo lo stesso con le starne e poi con la lepre e così via. Fra qualche anno non ci stupirà nemmeno più il cacciatore che si compra qualche animale, lo porta con la sua bella scatola in un campo vicino a casa, libera il cane e imbraccia il fucile per non farsi sfuggire i due euro appena investiti.
I problemi delle popolazioni sono altri, questo è certamente vero, agricoltura e gestione delle aree verdi non ci aiutano, ma è nostro dovere fare di tutto per ridare naturalezza e futuro alle popolazioni di fagiano che fino alla fine del secolo scorso rallegravano le nostre campagne. I soldi non mancano e le conoscenze scientifiche nemmeno, sta al mondo venatorio rendersi conto che è chiamato a qualcosa di più grande e più nobile di ciò che sta facendo ora. Nei prossimi articoli proveremo a sviscerare la questione provando a capire come si potrebbe agire diversamente e quali sono le opportunità da sfruttare prima che sia troppo tardi.
Condivido appieno l’articolo.
Buonasera senza ripopolamento la caccia alla penna e finita !!!! non ci sono storie o fantasie FINITA !!! e visto che anche i cacciatori col cane da ferma pagano ATC e giusto fare i lanci !!!
Grazie
Sarebbe opportuno rimetterlo in calendario venatorio da settembre a gennaio, si eviterebbero gli interventi primaverili
Triste realtà purtroppo ,ma volendo secondo me è possibile ritornare a quando i fagiani si lanciavano a fine febbraio primi di marzo, e parecchie nidiate attecchivano, questo richiede l’impegno di alcuni , specialmente con i predatori , che però dovrebbero avere in cambio sconti e/o agevolazioni .
Sergio
2 aprile 2023 alle 20:52
sacrosante parole condivisibili al 110%: sto pensando di non andare più a caccia ma poi i ricordi del passato, i frulli mozzafiato, la prodezze del tu cane ti inducano a ritentare anche se vista la situazione penso che tutto ciò rimarrà un ricordo.
Sacrosante parole. Soldi buttati, etica zero, una vergogna ATC Bo2 fagiani spariti. Nel mio vecchio ATC lt2 invece con una buona gestione (ma si può fare sempre meglio) con recinzioni di un ettaro per fare ambientare fagiani e lepri quest’ultimi stanno tornando. Bisogna farci sentire.
Il problema di base è la lotta ai nocivi…con tolleranza Zero…che nessuno vuole fare ! A partire dalla politica regionale ( vedi Lombardia scandalosa x i calendari….)…va rivista l’intera gestione degli ecosistemi con una strategia di tutti gli Atc regionali…il rapporto con l’agricoltura va impostato ex-novo, ecc…realisticamente parlando il fagiano autoctono non esiste oramai più!
Denunciare gli atc alle procure competenti per territorio per queste immissioni irragionevoli con spreco di denaro pubblico è un danno economico enorme per tutti
precisiamo che i soldi usati x questi lanci non sono soldi pubblici ma pagati esclusivamente dai cacciatori e questo è un dato di fatto. Poi se hai cacciatori sta bene questo tipo di gestione di cosa stiamo parlando.Nei comitati di gestione ci sono i rappresentanti dei cacciatori .che uniti agli agricoltori fanno una bella maggioranza.Tiri lei le conclusioni .Buona vita a tutti.
Ieri sera ho avuto riunione Atc 8 Parma e di fronte alla plateo ho.pronunciato le sue identiche parole nn avendo però ancora letto il suo articolo
Incredibile…..ma purtroppo è proprio così…..quella nn è caccia e nn mi ci ritrovo
Mi unisco anch’io al coro articolo fondato e ha centrato il problema,pero i problemi sono tanti e inutile girarci intorno, un po di invidia x chi caccia in ambiti senza” pronta caccia” dico soltanto che sono di Milano…….con un ambito gigantesco impossibile da gestire..credo…e poi l’etica la maggior parte dei cacciatori appartiene a generazioni passate dove è importante portare selvaggina a casa difficile cambiare mentalità purtroppo….x l’ambito poi cosa facciamo io in primis? Nulla…..e poi oltre i fagiani… e etico mettere stampi e richiami x anatre di fronte un AFV….È CACCIA?
La speranza è veramente che tutto questo possa cambiare con l’impegno di tutti io in primis…
W la Caccia!
Fare girare l’articolo a tutti i cacciatori di tutti gli atc,e se possibile ritornare liberi di andare a caccia su tutto il territorio nazionale.come una volta!
Il problema è uno solo gli ambiti di caccia, una gestione politica e non ambientale di quello che dovrebbe essere la caccia, nessun impegno per quel che riguarda il territorio l’importante è fare gli interessi di quei pochi anche perché sono convinto che la maggioranza dei cacciatori siano molto meglio di come veniamo descritti.
Almeno nelle zone dove caccio la diminuzione del fagiano ,nato fuori, e andata di pari passo con l aumento esagerato del cinghiale.. il rimedio è stato trovato, lanciare un po di gallinacci qualche giorno prima dell apertura x far contenti anche i pennisti…poi una volta ripulito il territorio si va tutti al cinghiale e siamo a posto fino all’ anno prossimo.Meno male che qualcuno inizia ad accorgersi che così non può andare.
Il pezzo trova tuto il mio apprezzamento. L’immagine pubblica dell’attività venatoria è già ampiamente degradata ed anche queste considerazioni, purtroppo, giustificano tale situazione. Personalmente sono convinto, invece, che i cacciatori potrebbero davvero essere le sentinelle della gestione faunistica, ma serve una vera “rivoluzione” culturale e francamente non so quanti cacciatori siano disponibili a percorrerla. E’ vero, la caccia di selezione ha intrapreso un percorso innovativo, probabilmente è questa la direzione per tutte le specie stanziali, ma ciò comporta rimettere tutto in discussione, superare privilegi acquisiti e abitudini consolidate. Significa anche aprire un tavolo di confronto al quale dovranno sedersi tutti gli interessati, compresi agricoltori, tecnici faunistici, amministratori e ambientalisti, capisco che venga l’orticaria solo a pensarlo, ma non c’è scampo. Io voto a favore, consapevole che non potranno mai essere solo i cacciatori a dettare legge sulla fauna.
Come si fa a non essere d’accordo con l’articolo sopra citato e sopratutto con Paolo e Mario è anni che si assiste ad una umiliazione nel cacciare i fagiani pronta caccia, “le galline da pollaio sono più selvatiche di questi fagiani puzzolenti”.
Basta non se ne può di questi ATC amministrati da incompetenti e anche la Federazione caccia con i suoi esperti non si capisce il perché anche loro non hanno capito della gestione ridicola priva di etica a di intelligenza è giunto il momento di smetterla e promuovere i lanci primaverili gli unici che sicuramente non daranno nell’immediato grossi risultati ma sicuramente quando il cacciatore con il suo ausiliario incontreranno un fagiano avranno davanti un fagiano “vero”. Se non incontreranno fagiani, pazienza avranno fatto una passeggiata respirando aria buona”.
Per chi vuole cacciare fagiani pronta caccia, ci sono le riserve private che forniscono i fagiani puzzolenti facendo contenti i portatori di fucile con la licenza di caccia ma vi prego non chiamiamoli cacciatori, chiamiamoli : quaquaraquà i cacciatori veri sono un’altra cosa!
La verità purtroppo è questa, siamo in mano a gente incompetente, presidenti dell’ambito non cacciatori messi dalla politica, assessori regionali che di caccia non sanno nulla oppure fanno finta di non sapere inseguendo l’interesse politico, il “voto”, l’agricoltura che non da più spazio alle nidiate, secondo il mio punto di vista sono alcuni esempi che hanno portato la caccia in questa situazione.
Tutto pura verità…eppure gli habitat ,specialmente in Toscana per il fagiano ci sono eccome , ma è grassa trovarne 4 o 5 l anno …
Spero che una volta x tutti questi atc cominciano ha buttarli come si deve….
Articolo da diffondere in tutti gli ATC!!! Nel mio per fortuna i pronto caccia sono banditi e le popolazioni selvatiche stanno bene e ci danno grandi soddisfazioni! a noi il compito di sostenerle!!! con miglioramenti ambientali, controllo predatori, e tutti gli strumenti che hanno dimostrato l’efficacia per la salvaguardia delle specie selvatiche!!!
Per i pronto caccia si va nelle aziende agrituristiche!! non negli ATC!
Buongiorno Paolo, qual’è il tuo ATC?
Te lo chiediamo perché ci piacerebbe scrivere anche di esempi di gestione positiva.