Fagiani e predatori: perché è importante cercare strade alternative ai piani di contenimento
Molti cacciatori vedono nel mancato contenimento dei predatori il principale colpevole della scarsità di fagiani nei nostri territori. Ma quello non è il solo, e verosimilmente nemmeno il più grande, dei problemi.
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Negli articoli precedenti della rubrica dedicata alla gestione sostenibile del fagiano abbiamo provato ad affrontare da punti di vista differenti i tanti aspetti che caratterizzano la gestione di questa specie in Italia. In questo articolo vorrei continuare con un tema delicato che viene spesso indicato come unica e intoccabile motivazione alla mancanza di fagiani: il contenimento dei predatori.
Ogni volta che si prova a sottolineare l’assurdità di una gestione basata sui pronta-caccia o che si tenta di spiegare i vantaggi di una gestione sostenibile della specie, c’è una obiezione ricorrente che in molti ripetono quasi fosse un mantra: ”finché non si riducono i predatori è tutto inutile!”. Ma è davvero così? Proviamo a entrare nel merito di questa affermazione.
Predatori diversi, approcci diversi
Innanzitutto, va detto che i predatori interessati al fagiano sono molteplici, dalle volpi ai corvidi, dai rapaci ai gatti, fino ad arrivare a noi cacciatori. Tutti hanno un impatto sulle popolazioni di fagiano, impatto che può variare significativamente in base al contesto ambientale (e su questo ci torniamo tra poco) e alla stagione.
In primavera, ad esempio, i nidi vengono predati da corvidi, gatti e volpi mentre queste ultime risultano il predatore estivo più letale, nonostante i fagiani non siano il loro alimento principale. In autunno, quando la maggior parte delle colture utilizzate come rifugio sono state eliminate, aumenta l’impatto dei predatori aviari, rapaci in primis. E durante la stagione venatoria entrano in gioco i cacciatori, in particolar modo quelli che non rispettano i limiti di carniere, che impattano sulla specie come se fossero dei veri e propri super-predatori (questo è un aspetto cruciale se si vuole attuare una gestione sostenibile della specie, non ne parlerò in questo articolo ma approfondiremo l’argomento in un prossimo scritto).
Se è vero che per alcuni di questi predatori, come volpi e corvidi, è possibile immaginare piani mirati di abbattimento e controllo, per altri quest’approccio è impensabile. I rapaci nel nostro paese sono tutti intoccabili e questo, che sia giusto o sbagliato, è un dato di fatto su cui è inutile soffermarci. Allo stesso modo, sono intoccabili i gatti randagi, nonostante l’enorme impatto che hanno su una moltitudine di specie e di cui nessuno sembra curarsi veramente (spero non serva ripetere l’importanza di sensibilizzare l’opinione pubblica su questo tema). Come sono intoccabili tutti quei predatori minori di cui i fagiani pronta-caccia, poco avvezzi alla sopravvivenza in natura, possono facilmente diventare prede occasionali.
Piani di contenimento, utili se fatti in modo mirato e a lungo termine
A conti fatti, solo corvidi e volpi possono essere controllati numericamente con piani di contenimento, ma è impensabile agire su larga scala con riduzioni drastiche, sia per la reale fattibilità di un intervento di questo tipo, sia per i negativi effetti ecologici che potrebbero derivare da una larga riduzione dei predatori. D’altro canto, è stato dimostrato che gli interventi a breve termine e su piccola scala non aumentano la sopravvivenza dei fagiani, siano essi selvatici o liberati.
Questo significa che se si vuole intervenire fortemente nel controllo dei predatori lo si deve fare con un intervento ben mirato e duraturo nel tempo, altrimenti si rischia di sprecare energie preziose in un’azione totalmente inutile ai fini gestionali che rischierebbe soltanto di gettare scontento e delusione fra coloro che vi si fossero prestati.
Gli interventi di contenimento noti per essere i più efficaci sono quelli fatti in primavera, volti a ridurre il numero di predatori nelle aree maggiormente vocate alla cova e alla crescita dei nuovi nati. Questo implica che ci siano popolazioni selvatiche di fagiano che si riproducono e habitat idonei alla loro sopravvivenza affinché il contenimento sia utile.
È facile intuire che i piani di contenimento da soli non sono la panacea alla cattiva gestione del fagiano, ma solo uno dei tanti strumenti che devono essere applicati. Per questo dire ”finché non si riducono i predatori è tutto inutile!” è a mio avviso fuorviante. Direi che forse è più vero il contrario: “la riduzione dei predatori è inutile se non c’è una popolazione selvatica e un habitat idoneo a sostenerla”.
Un habitat idoneo protegge più di un piano di contenimento
Poco sopra scrivevo che l’impatto della predazione può variare significativamente in base al contesto ambientale. Questa è un’evidenza scientifica piuttosto consolidata. Sono molti, infatti, gli studi che hanno messo in relazione predazione e ambiente dimostrando che il ruolo della predazione è enfatizzato quando la qualità dell’habitat diminuisce (qua un esempio, Whittingham e Evans 2004).
Il perché è facilmente comprensibile: dove c’è il giusto habitat per nascondersi è più facile sfuggire alla predazione; dove c’è il giusto habitat per la cova è più semplice celare i nidi; dove c’è il giusto habitat per nutrirsi si riducono i tempi di ricerca del cibo e di conseguenza si abbassa la possibilità di essere predati.
Purtroppo, la maggior parte degli ambienti in cui vengono rilasciati i fagiani pronta-caccia nel nostro paese sono lande desolate in cui i predatori, che vengano dal cielo o dalla terra poco importa, possono scorgere la loro preda da centinaia di metri di distanza. In contesti di questo tipo sarebbe difficile sfuggire alla predazione anche per un fagiano selvatico con una spiccata capacità anti-predatoria, immaginiamoci come può finire un pronta-caccia che non ha nessun imprinting di sopravvivenza. Facilmente finirà predato, magari proprio da uno di quei predatori che abbiamo visto essere intoccabili.
In questi contesti prima di investire energie, tempo e denari in piani di abbattimento o, peggio ancora, in costose immissioni di fagiani pronta-caccia, sarebbe opportuno lavorare sulla qualità degli habitat e degli individui immessi.
Ripopolare con fagiani addestrati alla sopravvivenza per diminuire la predazione
I ripopolamenti, infatti, giocano un ruolo fondamentale sui livelli di predazione. Anche in questo caso vari studi hanno dimostrato una correlazione tra densità di individui presenti sul territorio e numero di predazioni. Questo fa intuire come l’immissione di una moltitudine di fagiani pronta-caccia metta in pericolo anche quei pochi fagiani selvatici, laddove ancora ve ne sono, aumentando la pressione predatoria.
In un’ottica di gestione sostenibile è importante tenere a mente questo aspetto per evitare, come spesso accade, che i fagiani liberati fungano da foraggiamento per tutti i predatori della zona e che, unendosi ai pochi individui che già la abitavano, li mettano a loro volta in pericolo.
Per ovviare a questo problema è importante preferire la qualità dei capi immessi rispetto alla quantità.
Abbiamo già parlato in uno dei precedenti articoli di alcuni esempi di allevamenti virtuosi; proprio durante i mesi in cui i fagiani destinati ai lanci sono obbligati a vivere in cattività si potrebbe intervenire nell’abituarli a trovare strategie di sopravvivenza allestendo le voliere in maniera intelligente. Uno dei tanti esempi è sicuramente quello di inserirvi piante su cui i fagiani possano abituarsi ad andare a dormire, ma ne esistono molti altri, tra i quali un metodo d’alimentazione mirato alla vita in natura e l’allestimento di voliere d’ambientamento che avvicinino i fagiani ai predatori senza però gettarli in balia di questi ultimi privandoli della possibilità di imparare a conoscerli e a temerli.
L’importanza delle prime settimane dal rilascio
Vale la pena sottolineare un’altra correlazione tra ripopolamenti e livelli di predazione che è stata evidenziata in modo scientifico: la maggiore differenza di sopravvivenza tra fagiani allevati in cattività e individui selvatici si manifesta soprattutto nelle prime due settimane dopo il rilascio.
Privi dei prerequisiti comportamentali e fisiologici necessari per utilizzare il cibo naturale, gli esemplari rilasciati appaiono inizialmente costretti a concentrarsi sul mantenimento di un bilancio energetico e nutritivo positivo piuttosto che sulla riduzione del rischio di predazione. Ad esempio, in uno studio condotto nel Regno Unito, Hoodless et al. hanno notato che i fagiani rilasciati a cui era stato somministrato del grano in apposite mangiatoie passavano proporzionalmente meno tempo a cercare attivamente il cibo e più tempo a stare all’erta rispetto ai fagiani a cui non era stato dato alcun aiuto di questo tipo.
Credo che questo esempio sia utile a far capire ulteriormente che, ancor prima di pensare ad interventi complessi come i piani di controllo, sarebbe opportuno concentrarsi su quei piccoli accorgimenti, come può essere la somministrazione di cibo supplementare per il primo periodo o semplicemente un allevamento volto ad abituare i fagiani al cibo naturale, che possono mutare significativamente il tasso di sopravvivenza degli individui immessi.
Diamo ai predatori il giusto peso
Concludo dicendo che il problema dei predatori è certamente una questione che merita di essere affrontata e a cui è giusto cercare soluzioni, ma non è il solo, e verosimilmente nemmeno il più grande, dei problemi. È uno dei tanti aspetti su cui bisogna concentrarsi partendo dai dati scientifici e usando questi ultimi per capire e immaginare le azioni volte a migliorarlo. Parlarne senza informazioni precise giusto per trovare un capro espiatorio all’inesistenza di fagiani nei nostri ambiti è scorretto e soprattutto poco costruttivo.
Prima di puntare il dito verso i predatori sarebbe giusto puntarlo verso quegli organi di gestione che non spendono la minima energia, umana ed economica, per migliorare l’habitat dove ogni anno immettono senza alcun criterio scientifico migliaia di chilogrammi di carne da macello ricoperta di piume.
Uno dei sopracitati studi riporta l’avvenuta predazione di alcuni fagiani a opera dei tassi; senza nulla togliere a questo carnivoro, credo che questo avvenimento sia indicativo della tipologia di individui che vengono normalmente liberati in natura ed è ovvio che non si può pensare di cambiare il modo di intendere la gestione del fagiano senza cambiare radicalmente tutto ciò che vi ruota attorno, dagli allevamenti alla gestione del territorio.
Come già detto in altri articoli, tutto dipende dai cacciatori e dal desiderio che essi hanno di rimboccarsi le maniche e interrompere questa gestione autodistruttiva del fagiano che il mondo venatorio ha imboccato.
Pur essendo molto in disaccordo con la pratica della caccia, che rimane una passione che ha come risultato finale la morte di un Animale, fa piacere vedere che si comincia a ragionare in maniera più confacente alla realtà delle cose. Ed a questo articolo gliene va dato atto
In primis ci vogliono fagiani abituati a vivere liberi ,quindi animali capaci di sottrarsi ai predatori,invece dopo i lanci si vedono fagiani sbandati,fagiani che si raggruppano presso i pollai in cerca di cibo è logico che non c’è la facciano, è un modo degli ATC di fare qualcosa spendendo ( forse) quasi tutti e male gli euro dei cacciatori,ma oggi il cacciatore specialmente quelli col cane ha gusto e pretende territori e selvaggina di livello non uccelli pronta caccia,quindi non sono i lanci dei fagiani a cambiare qualcosa è solo un ripiego.