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In Sardegna e Sicilia i primi casi di Malattia Emorragica del Cervo

È la prima volta che la malattia viene riscontrata in Europa, può causare alte mortalità tra i cervidi e ingenti danni economici agli allevamenti di bovini.

Dopo la Peste Suina Africana, un’altra malattia d’interesse faunistico si affaccia in Italia: all’inizio del mese di novembre, in alcuni allevamenti nel Sud Sardegna tra Arbus e Guspini, sono stati riscontrati alcuni casi di positività alla Malattia Emorragica Epizootica del Cervo, una patologia di origine virale diffusa principalmente nelle popolazioni americane di Cervo dalla coda bianca, ma che può colpire tutti i mammiferi ruminanti.

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A pochi giorni di distanza da questi riscontri, sempre in Sardegna, è stato registrato il primo caso su fauna selvatica, in un cervo investito a Pula, per poi essere certificato un contagio anche in Sicilia, in provincia di Trapani. È la prima volta che tale malattia viene segnalata in Europa e il Ministero della Salute, ritenuto necessario un approccio di massima precauzione, ha richiesto di bloccare temporaneamente qualsiasi movimentazione di ruminanti in uscita dalle due isole, nell’attesa di avere un quadro più completo sulla diffusione della malattia.

Cos’è la Malattia Emorragica del Cervo

Il virus che causa la malattia emorragica epizootica del cervo (in breve EHDV), comunemente denominata Epizootic Hemorragic Disease (EHD), appartiene al genere Orbivirus ed è trasmesso da insetti vettori appartenenti al genere Culicoides, piccole mosche ematofaghe. Infetta principalmente i cervidi, in cui può causare un’alta mortalità, ma anche ovini e, soprattutto, bovini possono esserne colpiti. Ciò fa temere che i casi riscontrati finora siano soltanto la punta dell’iceberg di un contagio già diffuso tra gli animali selvatici.

Il virus non infetta l’uomo e pertanto interessa solo la patologia veterinaria. Nei cervidi, che possono contrarre la malattia in modo cronico, acuto e peracuto, i sintomi più vistosi sono estese emorragie, salivazione eccessiva, lingua tendente al blu per mancanza di sangue ossigenato e, nelle forme croniche, la rottura degli zoccoli causata da interruzioni della crescita. Fra le varie specie, il cervo dalla coda bianca è quella in cui il virus causa la maggiore morbilità e mortalità che può raggiungere anche il 90% dei soggetti sintomatici.

In bovini e ovini, invece, il virus ha un basso tasso di mortalità, ma negli allevamenti può causare comunque significative perdite economiche a causa della diminuzione della produzione di latte, degli aborti, della perdita di produttività derivata dal decremento di peso e degli alti costi di cura degli animali malati.

Come si diffonde e come probabilmente è arrivato in Italia

Va sottolineato che il virus non si trasmette da un animale all’altro per contagio, ma solo mediante insetti vettori. Proprio per questa ragione la diffusione della malattia è strettamente legata al ciclo vitale di questi insetti che, grazie ai cambiamenti climatici in atto hanno visto estendersi i propri periodi di attività e il loro areale.

In questo contesto, il trasporto dei vettori infetti mediante le correnti aeree svolge un ruolo importante nella trasmissione dell’infezione da una zona all’altra (anche a distanze superiori ai 100 Km) e probabilmente è proprio in questo modo che il virus ha raggiunto il nostro paese. Nell’ultimo ventennio, infatti, lEHDV è stato isolato oltre che in Nord America, Australia e Asia anche in alcuni Paesi del bacino del Mediterraneo, come Turchia, Marocco, Tunisia, Algeria ed Egitto, e proprio da qui potrebbero essere arrivati, sospinto dai venti, gli insetti vettori.

La sua presenza nei paesi confinanti con l’UE era già da tempo considerata un rischio d’introduzione significativo, tant’è che in uno studio del 2016 erano già state analizzate le aree italiane a più alto rischio: proprio la Sardegna e la Calabria venivano identificate come le aree a maggiore vulnerabilità, soprattutto per l’alta densità di due potenziali specie vettore, mentre le aree settentrionali del Paese (Piemonte, Lombardia, Veneto) erano considerate vulnerabili a causa della maggiore densità di popolazione bovina.

Il ruolo del mondo venatorio

Come sempre, in questi casi il mondo dei cacciatori può e deve svolgere il fondamentale ruolo di sentinella delle popolazioni faunistiche. L’opinione pubblica e le amministrazioni guardano con attenzione principalmente agli animali d’allevamento: ciò che muove l’interesse, infatti, è sempre l’aspetto economico, degli animali selvatici e d’interesse venatorio ci si cura, al massimo, in un secondo momento.

Nel 2010 sul territorio italiano sono stati censiti circa 543.000 cervidi tra Cervus elaphus, Capreolus capreolus e Dama dama. A confronto, rappresentato solo il 10% circa della popolazione bovina italiana, ma come abbiamo visto sono le specie che questa malattia mete più a rischio e il loro coinvolgimento nella trasmissione del virus va tenuta in seria considerazione. Ancora una volta starà al mondo venatorio vigilare su questa importante fetta di popolazione animale.

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