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Cos’è la peste suina africana, perché è pericolosa e difficile da controllare

Nell’ultima settimana diversi casi di PSA sono stati registrati a cavallo tra Piemonte e Liguria. Si tratta di una malattia dei suidi, difficile da sconfiggere, che richiede la massima attenzione anche da parte del mondo venatorio.

La peste suina africana (ASF o PSA) è una malattia virale che colpisce gli animali appartenenti alla famiglia dei suidi, che per quanto riguarda il territorio italiano comprende maiali domestici e cinghiali. La PSA non è trasmissibile all’uomo, ma è una delle malattie virali più complesse ed economicamente devastanti per gli allevamenti di suini, in grado di produrre un grande impatto socioeconomico nei paesi colpiti. Essa ha diverse proprietà che la rendono difficile da controllare ed eradicare.

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Un nemico difficile da sconfiggere

La PSA è stata descritta per la prima volta da Montgomery in Kenya nel 1921. Da allora, molti paesi africani, europei e americani ne sono stati colpiti. Il virus della peste suina africana (ASFV) è classificato come membro unico della famiglia Asfarviridae, genere Asfivirus. Il virus presenta un’alta variabilità genetica e antigenica, con 22 diversi genotipi descritti. Anche per questo gli elevati sforzi impiegati nella ricerca non ci hanno ancora donato una cura o un vaccino in grado di sconfiggere definitivamente questa malattia, i migliori ne ritardano solamente l’insorgenza dei segni clinici e della morte.

Gli ospiti naturali dell’ASFV sono i maiali selvatici africani; tuttavia, anche i cinghiali e i maiali domestici di tutte le razze ed età sono suscettibili all’infezione da ASFV. Il virus infetta anche diverse specie di zecche molli del genere Ornithodoros, nelle quali può sopravvivere per più di 5 anni rendendole vettori dell’infezione.

Questo virus è altamente resistente all’inattivazione nell’ambiente in presenza di materiale organico. Il virus persiste per lunghi periodi di tempo nel materiale infetto (sangue, feci, siero, liquami) e nei tessuti: può sopravvivere per più di 15 settimane nel sangue putrefatto, 11 giorni nelle feci conservate a temperatura ambiente o 1000 giorni nella carne congelata. Questa grande persistenza complica le procedura da mettere in atto per raggiungere l’eradicazione del virus.

I segni clinici iperacuti e acuti nei suini e nei cinghiali sono molto simili a quelli di altre malattie emorragiche, come la peste suina classica o la salmonellosi, pertanto, è sempre necessaria la diagnosi di laboratorio per diagnosticarla con certezza. I sintomi e le conseguenze dell’infezione possono variare dalla forma iperacuta con mortalità del 100% dopo 4-7 giorni dall’infezione e sintomi emorragici tipici, a una forma meno comune, asintomatica e cronica, che può trasformare gli animali in portatori.

I ripetuti tentativi di espandersi della PSA attraverso i prodotti suini contaminati

Dalla prima descrizione della malattia in Kenya nel 1921, molti paesi sub-sahariani sono stati colpiti dalla PSA. La malattia è stata limitata a questa regione fino al 1957, quando si è verificato un focolaio in Portogallo, il primo fuori dal continente africano. Questo focolaio fu efficacemente controllato ed eradicato, ma nel 1960 si verificarono nuovi focolai vicino a Lisbona. Da questi focolai iniziali, l’ASFV si è diffuso in molte aree della penisola iberica, dove è rimasto endemico fino al 1995. Durante gli anni ’70 e ’80, l’ASFV ha viaggiato in tutto il mondo, colpendo molti paesi europei, come Paesi Bassi, Italia, Francia e Belgio, così come alcuni paesi nelle Americhe, in particolare la Repubblica Dominicana e il Brasile. L’introduzione dell’ASFV in queste aree storicamente esenti dalla malattia è avvenuta principalmente attraverso l’alimentazione degli animali domestici con prodotti suini contaminati che entravano nel territorio attraverso aeroporti e porti marittimi internazionali.

Grazie ai significativi sforzi di controllo messi in atto in seguito all’ondata di PSA degli anni ’70 e ’80, la malattia è stata eradicata da tutti questi territori, ma ha persistito in Sardegna e nel continente africano, specialmente nell’Africa sudorientale.

Il virus è poi riapparso nel continente europeo nel 2007, questa volta attraverso la Georgia. Si pensa che in questo caso sia stato introdotto da navi internazionali che trasportavano broda infetta utilizzata per alimentare i maiali vicino al porto di Poti. Dopo questa introduzione, la malattia si è diffusa molto rapidamente, colpendo quattro diversi paesi: Georgia, Armenia, Azerbaijan e Russia. Nel 2010, dopo 3 anni dall’introduzione del virus nella regione del Caucaso, all’OIE sono stati notificati più di 273 focolai, in cui sono morti più di 76 000 animali, causando delle perdite economiche stimate in 1 miliardo di dollari.

Nel 2014 l’epidemia di PSA ha raggiunto l’Europa diffondendosi in vari paesi del’Est. Allo stato attuale sono presenti focolai in Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Romania, Ungheria, Bulgaria e Germania, mentre in ambito internazionale è presente in Cina, India, Filippine e in diverse aree del Sud-Est asiatico, raggiungendo anche l’Oceania (Papua Nuova Guinea). In questa nuova ondata il virus aveva raggiunto anche la Repubblica Ceca, nel 2017, e il Belgio nel 2020, in entrambi i casi però si è riusciti a eradicare la malattia grazie a dei piani di controllo molto stringenti.

In Italia, fino a pochi giorni fa, la malattia era presente soltanto in Sardegna, dove negli ultimi anni grazie alla messa in atto di un piano di eradicazione si è registrato un costante e netto miglioramento della situazione epidemiologica.

Prevenzione e controllo

Prevenire che il virus entri in zone esenti dalla malattia è fondamentale per evitarne la diffusione e tutti gli sforzi devono concentrarsi sull’evitare l’introduzione in nuove aree di suini o prodotti derivati potenzialmente infetti e sul corretto smaltimento di tutti i potenziali vettori passivi.

Una volta che la malattia è entrata in un territorio, le misure di controllo dovrebbero mirare a un’individuazione precoce sul campo, seguita da una rapida diagnosi di laboratorio e dall’applicazione di severe misure sanitarie.

L’eradicazione della PSA, prima dal Portogallo e dalla Spagna e poi da Repubblica Ceca e Belgio, ha dimostrato che il successo dipende dall’attuazione di un buon programma di eradicazione, adattato allo scenario specifico e approvato da tutti gli attori coinvolti, agricoltori, veterinari, politici e cacciatori.

Il ruolo dei cacciatori

Nel caso del nuovo focolaio tra Piemonte e Liguria, è fondamentale segnalare ogni rinvenimento di carcassa o resti di cinghiale. E questo è un aiuto che nessuno più dei cacciatori può dare visto la nostra costante presenza sul territorio e le conoscenze che ci permettono il rapido riconoscimento degli eventuali resti.

Soprattutto in una fase iniziale, in cui risulta di primaria importanza identificare con precisione l’ampiezza dell’areale di diffusione, è importante ridurre al minimo lo spostamento degli animali selvatici da una zona all’altra, diminuendo così le interazioni tra diverse popolazioni che potrebbero causare un rapido aumento dei contagi. Per questo in queste ore le autorità stanno predisponendo il blocco totale dell’attività venatoria nelle aree interessate dal contagio e un blocco parziale in quelle limitrofe.

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