Lupo Piemonte: FIdC scrive alla Regione
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Di seguito vi riportiamo la lettera che Federcaccia Piemonte ha inviato all’Assessore all’ambiente Alberto Valmaggia
Preg.mo Dr. Alberto Valmaggia,
Le scriviamo in qualità di rappresentanti della Federazione Italiana della Caccia, la più importante associazione venatoria nazionale cui fanno riferimento la gran parte dei cacciatori piemontesi.
Lei è assessore all’ambiente e s’occupa di montagna, parchi e foreste, ma è anche amministratore d’esperienza e lunga militanza politica, e dunque non le sarà sfuggito come negli ultimi tempi si stia sempre più parlando di lupi: lo fanno giornali e tv segnalando avvistamenti un po’ ovunque, lo fanno pastori e agricoltori lamentando danni per le aggressioni al bestiame domestico, e non solo più ovicaprini, ma pure bovini ed equini; lo facciamo anche noi, che la presenza del lupo la rileviamo sul territorio durante l’esercizio della nostra attività.
L’abbandono e lo spopolamento delle montagne cui abbiamo assistito negli ultimi decenni, così come l’aumento di boschi e foreste con conseguente esplosione demografica di ungulati quali cinghiali, cervi, caprioli e camosci, hanno favorito il ritorno massiccio di grandi predatori carnivori sulle Alpi: orso, lince, e da noi il lupo. Ciò sta avvenendo in tutta Italia, provocando un vero e proprio allarme sociale da parte del mondo agricolo e rurale, cui al contrario rispondono cori d’esultanza da parte di quello ambientalista e animalista; il tutto nell’indifferenza, o quasi, della politica.
Il lupo, dapprima riapparso con sporadiche presenze sull’arco alpino occidentale, e…caso strano sempre all’interno di parchi o zone protette, s’è poi ampiamente diffuso in buona parte del Piemonte tanto che ora i suoi avvistamenti nemmeno più si contano per quanto sono numerosi e ripetuti, dall’alta montagna sino alle periferie di paesi e città, Torino compresa. Li vedono in molti: pastori ed agricoltori, cacciatori ed escursionisti, cercatori di funghi od anche semplici cittadini che li fotografano o filmano con il loro telefonino al margine di strade o vicini ad abitazioni; insomma, chi d’abitudine frequenta boschi o montagne ha chiara sensazione della loro presenza e degli spostamenti dei branchi, trovando tracce e feci disseminate un po’ ovunque, talvolta anche carcasse d’animali predati.
Non v’è dubbio che il ritorno del lupo sia un fattore importante, segno evidente e positivo di ricchezza delle nostre biodiversità e del recupero di antiche selvaticità, ma stupisce come quando s’affronti l’argomento per trovare delle soluzioni questo subito diventi…un vero e proprio tabù, con il mondo ambientalista che si chiude a riccio e la politica che finge di non vedere, non sapere. E così molti degli avvistamenti diventano frutto d’allucinazioni collettive, i canidi tutti…cani lupo cecoslovacchi o simili sfuggiti ai loro padroni, le pressanti richieste d’informazione solo più polemiche pretestuose o strumentali.
In Italia il lupo è tutelato sin dagli anni settanta, quando era a rischio estinzione e non ne restavano che un centinaio; fu prima con la legge sulla caccia n. 968 e successivamente nella l.157/92, che l’inserì tra le specie “particolarmente protette”, ma la stessa Convenzione di Berna, elaborata nel 1979 e resa esecutiva in Italia dalla l. 503 del 05/0/81, l’incluse nell’Allegato II come specie faunistica “assolutamente protetta”. Infine, dal 1997, il lupo è nell’allegato D del CITES, come specie di interesse comunitario. Da allora molto è cambiato e a distanza di una quarantina d’anni la situazione si presenta in maniera totalmente differente, tanto da mettere in discussione lo stesso “status legale” di questo atavico predatore in piena ripresa numerica in tutta l’Europa e quindi divenuto un serio problema per le popolazioni che si trovano a conviverci.
Esiste un progetto, Life WolfAlpes, finanziato da Bruxelles, ma certo alimentato anche a livello locale, che ha inghiottito milioni di euro parrebbe senza produrre alcunché di rilevante, e senza darci una mappatura precisa degli avvistamenti, la stima realistica della loro effettiva consistenza in Italia e Piemonte. Oltreconfine, in Svizzera, le autorità li contano con la precisione che ha reso famoso quel popolo, e così loro sanno esattamente quanti lupi hanno sul territorio nazionale, cosa fanno, dove mangiano e dormono, quando e quanto si riproducono; in questo modo decidono se hanno predato troppo o possono continuare a farlo ancora un po’, ma poi assumono decisioni, fosse anche quella di ridurne il numero, in maniera scientifica e senza le polemiche che qui da noi sarebbero inevitabili.
Anche i francesi non sono da meno: pure loro li hanno contati e così hanno deciso di abbatterne un certo numero, trentasei l’ultimo anno sui circa trecento presenti, formando ed autorizzando per tale compito proprio i cacciatori. In Europa sono corsi al riparo anche gli spagnoli (duemila i lupi stimati e duecento quelli che si potranno abbattere nelle Asturie) come pure svedesi, norvegesi e finlandesi, che però degli animali che vagano per le loro estesissime foreste sanno tutto, e possono pensare di limitarne il numero senza che ciò ne comprometta la sopravvivenza.
Da noi no, da noi si fanno solo ipotesi e si spendono soldi, troppi, si mantengono persone, forse anche queste troppe, senza che mai nessuno venga chiamato a rendicontare o fornisca dati ufficiali, inoppugnabili, definitivi.
Di fronte a questa situazione noi siamo molto perplessi, preoccupati, ed ora chiediamo di sapere.
- Sapere quali siano state le spese sostenute per questi studi e quali i finanziamenti concessi con soldi pubblici;
- Sapere se vengono pagate consulenze, di quale importo e a chi;
- Sapere quale sia il numero di lupi effettivamente presenti sul territorio piemontese e non solo…leggere stime;
- Sapere cosa fa la Regione Piemonte per rifondere i danni prodotti al mondo agricolo e pastorale da queste predazioni;
Vorremmo da ultimo essere rassicurati sui rischi rappresentati da animali che la storia dell’uomo ha sempre reputato pericolosi per la sua incolumità. Molti sono felici che l’ancestrale nemico ululi nuovamente nei boschi di Alpi o Appennini, e che questi formidabili predatori siano tornati anche là dove furono scacciati dall’uomo dopo secoli di lotte feroci e crudeli; molti plaudono ai progetti che mirano a tutelarlo e favorirne la diffusione, ma troppo spesso ci si dimentica poi di fare i conti con la realtà, con le esigenze locali e il rispetto della ruralità, che vede tra i suoi aspetti caratteristici agricoltura e pastorizia, ma anche l’attività venatoria.
Sino a qualche anno fa il Piemonte possedeva uno straordinario patrimonio di fauna ungulata, invidiatoci da tutt’Europa, una ricchezza economica per le genti del posto valorizzata dal sapiente lavoro di ATC (Ambiti Territoriali di Caccia) e CA (Comprensori Alpini) che sapevano ben gestirla, con oculatezza e criteri scientifici, tanto da farla aumentare in modo equilibrato e sostenibile ad ogni nuova stagione, ma che ora rischia d’essere compromessa dall’eccessiva presenza di lupi, quest’ultimi senza controllo alcuno. Lo dimostrano i casi di Alta Val Susa e Pragelato, ove il capriolo è in fortissimo e forse irreversibile declino e pure il cervo manifesta sempre crescenti difficoltà. Tutto ciò pare curioso, quando si pensa che molti parchi ed oasi piemontesi nacquero proprio per difendere e tutelare al meglio quei magnifici selvatici.
Federcaccia Piemonte è sempre stata coerente, mantenendo una posizione seria, equilibrata e ferma: noi non vogliamo l’eradicazione del lupo o il suo sterminio, ma vogliamo si cominci davvero a parlare di sua gestione, di controllo numerico.
Le chiediamo dunque, dottor Valmaggia, d’affrontare la questione e fornirci delle risposte, spiegando come la Regione Piemonte intenda affrontare questo serio e grave problema; da ultimo La invitiamo a soppesare se non sia ormai giunto il momento di sollevare la questione a Roma, avanti al Ministero dell’Ambiente o a Bruxelles, alla UE, proponendo una ridefinizione di accordi e convenzioni sottoscritti negli anni in cui la sopravvivenza del lupo era davvero a rischio d’estinzione. Ora non lo è più, ma ad essere in pericolo sono attività e popolazioni rurali. Anche in Piemonte!
Cordialmente,
Federcaccia Regione Piemonte