Perché un cacciatore dovrebbe sostenere (anche economicamente) un’associazione ambientalista? Intervista a Giancarlo D’Aniello, Presidente AIW
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Purtroppo in Italia sempre più spesso al concetto di ambientalismo viene associato il termine anticaccia, tanto che ormai l’opinione pubblica li considera quasi sinonimi. In realtà la protezione ambientale e la caccia sono due attività estremamente connesse che dovrebbero coesistere e cooperare per un fine comune: la salvaguardia dei territori, della fauna e, più in generale, dell’ambiente. Tutto questo noi cacciatori lo sappiamo bene, ma il mondo ambientalista italiano non sembra ancora averlo capito del tutto.
Se vi dicessi, però, che esiste un’associazione ambientalista che prende i pochi territori selvaggi rimasti in Italia, li tutela, impedendo che vengano disboscati, bonificati, lottizzati, cementificati, “parchificati” (concedetemi il termine) garantendo che rimangano per sempre così come sono, naturali e selvaggi, e che su questi territori non vieta, ne limita, le attività rurali tradizionali (caccia, pesca, raccolta)? Non vi verrebbe voglia di sostenerla?
Riflettiamoci un attimo, quante storie abbiamo sentito dai nostri nonni e dai nostri padri su posti fantastici, paludi incontaminate, boschi selvaggi, mareschi impenetrabili, dove soltanto una quarantina di anni fa si poteva incontrare selvaggina di ogni tipo?… Tutti posti che oggi per la maggior parte non esistono più, perché cementificati, industrializzati, bonificati… distrutti insomma… e quei pochi rimasti, su cui oggi abbiamo la fortuna di poter ancora cacciare, potrebbero fare la stessa fine… e restare così come sono oggi, naturali e selvaggi, solo nei ricordi dei racconti che faremo ai nostri figli…
Credo valga la pena fare uno sforzo, tutti noi cacciatori, per tutelare questi luoghi e per far si che i nostri figli li trovino ancora così, naturali e selvaggi. È per questo che un cacciatore dovrebbe sostenere (anche economicamente) un’associazione ambientalista come quella di cui vi parlavo poco più su.
Quell’associazione esiste, si chiama Associazione Italiana Wilderness (AIW) e ci siamo fatti raccontare più nel dettaglio dal suo Presidente, Giancarlo D’Aniello, che cosa fa e come possiamo sostenerla. Buona Lettura.
Salve Giancarlo.
Innanzitutto, per chi non la conosce, che cos’è la “Wilderness”?
E’ natura incontaminata. La parola deriva dal gallese antico, che in italiano si legge come è scritta, e che originariamente significava “luogo dove vivono i cervi”. E’ uno di quei termini che, dopo essere stato quasi abbandonato nella madre patria, è tornato in auge in America, dove i coloni Europei lo utilizzarono per definire gli scenari naturali che ai loro occhi dovettero sembrare il nuovo Eden.
Dicevi in America, quindi il concetto di “tutela wilderness” è nato lì?
Sì, sul finire del secolo XIX quando, completata la conquista del West, gli americani sentirono il bisogno di salvare gli scenari naturali ancora integri. Nacque così un movimento dapprima filosofico, poi conservazionista, che si ispirava all’amore per i luoghi selvaggi. Scrittori come Henry David Thoreau o ambientalisti come John Muir ne furono i precursori. Chi però ha dato a questo termine il significato conservazionista è stato Aldo Leopold, il più importante ambientalista mondiale del ‘900. Era un professore universitario ma anche un cacciatore e, proprio per questa sua particolare sensibilità, concepì le aree wilderness, territori non solo da conservarsi per sempre selvaggi, ma anche da vivere praticandovi sport pionieristici “caccia, pesca, escursionismo ecc.” A Leopold dobbiamo la prima area wilderness: Gila Wilderness Area, istituita nel 1924. Per Leopold e per i precursori della filosofia wilderness era importante entrare in contatto con la natura selvaggia, camminare per giorni in territori senza alcuna presenza umana, andarci a caccia, a pesca o semplicemente a piedi o in canoa, senza l’ausilio di alcun mezzo meccanico (divieto ancora vigente nelle aree wilderness degli USA). In fondo wilderness è proprio questo: riappropriarsi del nostro arcaico stare con la natura. Solo dopo diversi decenni (1964) il Congresso degli USA le istituzionalizzò con il Wilderness Act.
E in Italia com’è arrivato?
In Italia il movimento wilderness ha preso piede a partire dagli anni ’80 del secolo scorso, grazie a Franco Zunino che è stato il primo ambientalista a parlarne. Oggi come Wilderness Italia stiamo diffondendo la conoscenza di questa forma di tutela ancora ignorata da molti, ed è un vero peccato perché rappresenta una valida alternativa ai parchi, soprattutto in quei territori dove i parchi erano osteggiati.
Forma di tutela che si concretizza soprattutto nelle “Aree Wilderness”, giusto? Mi puoi parlare un po’ di queste Aree?
Sì, le Aree Wilderness sono una straordinaria e rivoluzionaria forma di conservazione dell’ambiente, di cui il mondo venatorio italiano non ha ancora pienamente compreso le potenzialità.
In che senso?
Nel senso che si tutela rigidamente il territorio impedendo ogni modifica compiuta dall’uomo ma, al tempo stesso, in quello stesso territorio si consente l’uso delle risorse naturali rinnovabili. Per intenderci, la differenza tra un parco ed un’area wilderness è che il parco è da visitare, l’area wilderness è da vivere.
Quindi la caccia è consentita in queste aree?
Certo che è consentita! Come è consentita la pesca e la raccolta di prodotti del sottobosco. C’è il rispetto delle attività tradizionali delle popolazioni che vivono quel territorio alla base del successo delle nostre Aree Wilderness!
Queste rappresentano la forma più democratica di conservazione del territorio perché condivisa dai proprietari di quei terreni sui quali si impongono i vincoli. Al contrario dei nostri parchi che non sono quasi mai proprietari dei terreni vincolati.
Il successo delle aree wilderness, si basa sulla accettazione dei vincoli da parte delle popolazioni locali in quanto non si toccano i loro diritti ancestrali, le loro attività tradizionali. In alcuni casi l’istituzione di un’area wilderness può impedire la nascita di un parco, nazionale o regionale, come è successo nel caso del Delta del Po o dei Monti Ernici. I cacciatori ragionino e valutino questa opportunità e si facciano loro stessi promotori di aree wilderness in territori ancora integri. Per queste caratteristiche le aree wilderness rappresentano la forma più democratica di conservazione del territorio, perché il vincolo wilderness non impedisce lo svolgimento di tutte quelle attività che si conciliano con il mondo rurale di tipo tradizionale.
Lo hanno già compreso anche in Europa. Quando, ad esempio, nel 1991 in Finlandia si volle tutelare i territori abitati dalle popolazioni Lapponi, si resero conto che l’istituzione di un parco nazionale avrebbe creato non pochi conflitti con le attività rurali del popolo Sami. Durante i lavori parlamentari si guardò con interesse al Wilderness Act americano ed il parlamento finlandese, nel riconoscere le aree wilderness, lo richiamò espressamente (Wilderness Areas in Northern Finland). Le aree wilderness vennero preferite ai parchi nazionali in quanto ispettose delle attività tradizionali della cultura lappone: la caccia, la pesca, per non parlare dell’allevamento delle renne.
Noi di Wilderness Italia pensiamo che si possano realizzare anche in Italia e stiamo facendo lo stesso percorso: ci impegniamo affinché anche il nostro legislatore riconosca le aree wilderness, rispettose delle ancestrali esigenze delle popolazioni locali, come alternativa ai Parchi. Per questo siamo l’associazione ambientalista guardata con crescente favore da tutto il mondo rurale, venatorio in particolare. Ciò che viene rigidamente impedito nelle aree wilderness è la modifica del territorio, non l’utilizzo delle sue risorse rinnovabili.
Quante Aree Wilderness ci sono in Italia?
Circa 70 aree wilderness, pur non essendoci ancora una legge che le disciplini. In questi anni, anche in assenza di una normativa, noi di Wilderness Italia, che crediamo nella democrazia che viene dal basso, ci siamo dati da fare comunque ed abbiamo creato queste aree col consenso dei Comuni (che possono istituirle con una semplice delibera comunale sul demanio di loro proprietà) o di altri organismi pubblici (come nel caso della Giunta regionale del Friuli Venezia Giulia) o in altri casi di privati.
Oggi grazie ad internet tutti possono verificare che le aree wilderness sono previste dal massimo organismo mondiale in materia di conservazione della natura: lo IUCN. Si vada a vedere la classifica delle aree protette indicate da questo organismo dell’ONU (qui il link).
Ormai sono tanti gli Stati che le hanno previste nel loro ordinamento: gli USA, dove sono state ideate, il Canada, il Messico, il Brasile, il Sudafrica, la Nuova Zelanda, l’Australia. Anche in Europa iniziano a diffondersi: Finlandia, Scozia, come vedi, prima o poi anche l’Italia dovrà legiferare in merito.
La vostra associazione è quindi la dimostrazione che, anche in Italia, non sempre ambientalismo fa rima con anti-caccia, anzi…
Pensa che tra i fondatori dell’associazione (1985) vi sono stati anche i cacciatori. Poi questa dicotomia caccia/ambiente è estremamente provinciale, se vai all’estero ti accorgerai dell’approccio completamente diverso alle emergenze ambientali. A dirla tutta in Italia il vero problema ambientale non è la caccia ma sta diventando la cattiva gestione (animalista) della fauna selvatica e dei grandi predatori. Ma qui si tocca un altro argomento che, se vuoi, approfondiremo in un’altra intervista.
Su questo argomento mi trovi assolutamente d’accordo, di sicuro ci sarà modo di approfondire. Tornando ai vostri progetti di tutela ambientale, su quali altri fronti operate?
Cerchiamo di impedire ogni opera antropica non autorizzata che violenti il territorio ancora integro: ogni anno presentiamo decine di esposti alle Procure, segnalazioni alle Soprintendenze ed al Ministero dell’Ambiente. Si pensi ai danni che l’eolico sta causando sui crinali dell’Appennino. In alcuni casi le battaglie sono state intraprese assieme a comitati composti anche da cacciatori, due esempi su tutti: le battaglie condotte insieme al Comitato del Monte Faggiola in Toscana e quella ancora in corso del Monte San Lupo nel beneventano. Nel 2015 abbiamo eliminato dal Monte Cesima (CE), a nostre spese, 3 anemometri di oltre 30 metri d’altezza (qui il video).
Da tutto quello che mi hai raccontato credo che possiate fare veramente molto in collaborazione con il mondo venatorio, ti voglio chiedere: che rapporto avete con le Associazioni Venatorie? Vi sostengono?
Inviamo continuamente appelli al mondo venatorio. A questi ha risposto Federcaccia, ACMA con donazioni finalizzate all’acquisto di terreni, ma anche altre sigle del mondo venatorio, penso all’associazione Cacciatori Segugi e Segugisti, alcune confederate CONFAVI come il CST che hanno aperto alcune sezioni AIW, Italcaccia, singole sezioni di Enalcaccia che ci sostengono con donazioni annuali. Siamo un’associazione ambientalista che raccoglie in maniera trasversale il consenso di tutte le sigle del mondo venatorio. Il nostro obiettivo principale è la realizzazione di aree wilderness. Segnalo che da qualche anno sta accadendo un fenomeno per noi interessante: molti presidenti di sezione di associazioni venatorie ci contattano per aprire sezioni AIW con i propri tesserati. A costoro chiediamo di condividere il nostro progetto di conservazione. Queste sezioni si accreditano presso gli uffici dei loro ambiti territoriali beneficiando delle opportunità offerte ad una associazione ambientalista riconosciuta dal Ministero dell’Ambiente. Ad esempio, la possibilità di istituire guardie giurate volontarie, accedere ad atti amministrativi, entrare nei comitati di ATC ecc. Senza contare che è possibile partecipare a bandi anche europei per educazione ambientale o didattica all’interno delle scuole o di ricerca in partenariato con Enti o Istituti di ricerca. Spesso vengo contattato da gruppi di cacciatori che hanno voglia di impegnarsi sul territorio: spiego che il primo passo per partire è aprire una sezione AIW con almeno 13 soci.
Ti senti di dare un consiglio al mondo venatorio?
Sarebbe il caso che qualche “testa pensante” cominciasse a comprendere le enormi potenzialità offerte dalle aree wilderness e ci desse concretamente una mano a sostenere questa idea di conservazione. Le aree wilderness sono una valida alternativa ai parchi e rispetto a queste, non vietano l’attività venatoria. Sono nate per l’uomo e per le sue passioni da esercitare nei territori selvaggi (caccia, pesca, raccolta dei prodotti del sottobosco ecc.).
Chi volesse come può contribuire a sostenervi?
Iscrivendosi all’AIW! E’ il modo più semplice ed immediato per sostenerci. Precisiamo che l’associazione si sostiene solo con i contributi degli iscritti in quanto non riceve alcun finanziamento pubblico. Ogni socio è quindi per noi un concreto aiuto alla diffusione del nostro ambientalismo. Diventando socio riceverà la tessera, l’adesivo ed i 4 numeri del nostro trimestrale a colori, qui il link per saperne di più sull’iscrizione . Si può anche donare il 5 x 1000 all’AIW, con i proventi delle donazioni l’AIW acquista terreni minacciati da tagli o da lottizzazioni e li lasciamo per sempre selvaggi ed aperti alla caccia. Nelle Langhe, ad esempio, ne abbiamo acquistato diversi ettari, salvandoli e permettendo ai cacciatori di andare a caccia. In definitiva: Wilderness è natura da vivere!
Chiunque voglia sostenerci può visitare il nostro sito: www.wilderness.it o essere costantemente informato sulle nostre iniziative, cliccando mi piace sulla pagina Facebook di Wilderness Italia.
Per contatti:
Cell. 328 61 54 716.
E mail: presidenza@wilderness.it
Un grazie a Giancarlo per l’intervista e un grazie a tutti i membri dell’Associazione Italiana Wilderness per quello che fanno in difesa dell’ambiente. Io, cacciatore da sempre, ho scelto di iscrivermi all’AIW e di sostenerla, e voi?