Cacciatori si diventa

Camoscia e Mocette

Questa volta vorrei raccontarvi la mia seconda esperienza al Camoscio.
I censimenti primaverili non sono stati dei migliori, il maltempo e le nevicate tardive non hanno consentito un buon conteggio. Meglio per i camosci peggio per i cacciatori: quest’anno probabilmente ne assegneranno un po’ meno.
Lo Yearling dell’anno scorso mi tormenta ancora, mi piacerebbe persistere e chiederne un altro, ma visto che sono comunque sempre un pivello, “perché complicarmi la vita?!” Chiedo in assegnazione una femmina adulta.

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Il cacciatore vecchio stile e di “una certa età” chiede sempre il maschio. Le femmine, i piccoli e gli yearling, secondo questi, non si dovrebbero abbattere. Dicono: “un maschio copre tante femmine, ma se uccidi le femmine come fanno a moltiplicarsi?”
Inutile cercare di instaurare un dialogo. Anche se studi approfonditi vogliono che gli abbattimenti selettivi siano ripartiti in ogni classe, questi cacciatori non cambiano idea. Il maschio viene assegnato per graduatoria di punteggio, e in caso di parità si va per estrazione. Capite, quindi, che se la maggioranza chiede un maschio, non in molti verranno accontentati. A tutti gli altri cacciatori, tra cui quelli che si sdegnano di prendere femmine e giovani, verranno assegnati altre classi… ci si aspetterebbe che si astengano dal cacciarli, ma così non è. Io, che mi reputo un cacciatore 2.0, non mi faccio problemi, abbattere un animale non è piacevole, che sia maschio o femmina, giovane o vecchio.

Ma veniamo alla “mia” camoscia…
Lo scorso anno mentre cercavo lo yearling ho incominciato a capire qualcosa di più sulle abitudini dei camosci, e soprattutto i luoghi di pascolo delle femmine in raggruppamento. Durante l’estate quindi ho verificato sul posto, cioè in montagna, che le mie conoscenze fossero effettivamente giuste.

17 settembre, la prima uscita
L’autunno non si è ancora presentato, salve qualche brinata in quota. Decido così di partire il pomeriggio precedente, ed andar a dormire su nell’invernale di un rifugio. Zaino pesante: fornello, thermos, 3 pasti, carabina, lungo, binocolo…
Sveglia alle 6.00. Mezz’ora di marcia per raggiungere un colle e la sua casermetta della II° guerra. Sono a 2700 metri, il freddo è pungente. Al riparo di un muretto a secco binocolo il valloncello sotto di me. Ecco una femmina, a 60-70 metri da me, la inquadro nell’ottica, non mi ha visto, ho tutto il tempo…
E faccio bene ad attendere, un minuto più tardi ecco che esce il suo capretto. Non si tira alle “mamme”!!!

Una volta che ci si trova a tiro del branco di femmine, bisogna studiarle a lungo. La femmina non deve essere allattante, bisogna quindi osservare quali di loro siano troppo giovani o troppo vecchie per avere il capretto. Una volta l’abbattimento di una femmina allattante comportava errore di tiro, oggi comporta l’impossibilità di richiedere un secondo capo durante tutta la stagione venatoria. Non tiro alla mamma in questione e rimango a guardarla mentre pascola. Mentre mi giro per tornare a ripararmi nella casermetta, ecco che partono una ventina di camosci e capretti, tutti nascosti dietro la casermetta. Non li avevo proprio visti, e loro nemmeno.
Provo ad aspettare un po’ ed ad inseguirle con molta circospezione, ma il valloncello è piccolo, se sconfinano non posso cacciarle. Sono troppo allertate ormai, torno a casa.

Seconda uscita
Il mio socio anziano di sempre ha uno yearling, il capo più difficile da fare, precedenza a lui quindi. Parto come la volta precedente il giorno prima, appuntamento via radio la mattina seguente, presto. Dalla casermetta oltre che a individuare una femmina giovane e senza capretto, scorgo alcuni yearlings, attendo quindi a tirar alla femmina. Avverto il socio e mi metto nella casermetta ad attendere il suo arrivo. Arriva troppo tardi, ma non solo, è preceduto da due corridori di montagna con tanto di cane libero… ciao ciao camosci!!!

Terza uscita
Solito posto, solito schema. Una nevicata ha ricoperto tutti i versanti Nord dai 2500 in su. Il valloncello dei camosci è ricoperto dalla prima nevicata autunnale. Non un camoscio! Saranno tutti a sud a godersi i prati puliti ed il sole, ed io a sud non posso andare perché valicherei il confine del comparto.

Quarta uscita
La neve trovata nei versanti in ombra, mi dà l’occasione per andare nel “mio” posto preferito. Quello in cui già l’anno scorso avevo passato molte giornate alla ricerca dello yearling fantasma. Li è molto alto ed è esposto a sud, ripidissimo, la neve sparisce in un baleno. I camosci lo frequentano sempre.
Sveglia alle 3.45, alle 5.30 lasciamo la macchina all’ultima borgata, con me c’è mio padre. Sono 1200 metri di dislivello fino ad un laghetto, da questo si binocola e ci si muove ancora per qualche centinaio di metri per avvicinarsi ai branchi. A testa bassa e con due carabine a spalla cammino, perdendomi un camoscio a 50 metri da me. Riesco a vederlo solo all’ultimo minuto, per notare che ha la lingua di fuori ed ansima come me… ve lo giuro!!! scoppiamo a ridere per la scena e ripartiamo.

Arriviamo al laghetto. Indico a mio padre i prati verso i 2900 dove li ho sempre avvistati. E sono lì. Come al solito. Spiego a mio padre che il sentiero li non c’è, deve mettersi in un canalone e salire un po’ dove gli viene più comodo. Parto. Destinazione crestina che divide i valloni. Almeno ancora mezzora.
Mi nascondo dietro un pietrone, il lungo l’ho lasciato a mio padre, senza mi viene difficile distinguere bene le classi e le età dei camosci. Devo essere sopra vento, mi soffiano e se ne vanno via dietro un altro crestino. Potrei seguirli, ma svalicando il crestino, sarei in campo troppo aperto, mi vedrebbero subito. Appostarmi dietro il crestino per tirare è un po’ troppo estremo, sto a malapena in piedi a causa della franosità e della ripidezza del terreno.

Mentre studio il da farsi, ecco che un camoscio solitario attraversa. Con il binocolo 8×42 vedo un gran trofeo, penso sia un maschio solitario che segue le femmine, ma con quel trofeo dovrei vedere il pennello, e non ce l’ha! Deduco quindi sia una femmina parecchio vecchia e senza capretto. Mi fischia, più volte. Pensando che tanto ormai farà come i suoi compagni e svalicherà mi tiro su per guardarla meglio. Lei è a 200 mt circa. Non scappa, anzi si mette di traverso su un roccone, e continua a soffiarmi. Tutta questa scena mi emoziona, troppo! Ho il cuore che batte a 130 anche se sono a riposo, tirare diventa difficile. Lei rimane sempre lì e continua a fischiarmi come per dirmi “ce la fai o no? E un quarto d’ora che sto qua sopra!”. Cerco di calmarmi. La inquadro, tiro. Lei si accascia sul roccone. Per raggiungerla mi ci vogliono almeno 20 minuti. Parto. Il solito canale marcio da attraversare e salire per raggiungere il roccone. Mollo lo zaino per essere più comodo. Appena raggiungo il roccone lei si alza e scappa su dal canale. Devo averla solo ferita. Non posso darle un secondo colpo in quel canale marcio. Sto a malapena in piedi. Lei scappa a sinistra, non posso neanche seguirla. Dove passa lei io con la carabina non ce la faccio. Torno indietro e faccio il giro da sotto. La trovo accasciata su una pietraia, ancora viva. Dovrò finirla con un altro colpo, maledicendomi per la sofferenza e la paura che devo averle causato.

Mi raggiunge mio padre. Ci toccano 1500 metri in discesa. Va già bene che la camoscia vecchietta è molto magra. Arriviamo alla macchina esausti. Al centro di controllo il tecnico mi dice che doveva avere diciassette anni, non è allattante. È talmente magra che decido di farla tutta in mocette, visto che mi hanno appena dato la ricetta per farle, saranno poche, ma squisite per lo meno!

Rimango emotivamente scisso per alcuni giorni.
Che gioia aver preso la camoscia alla quarta uscita, ma che pena aver sbagliato il colpo e averle causato sofferenza. Non dovrà più ripetersi.

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