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Lettera di un vecchio di Po alla Dea della caccia

Pensieri ed esperienze maturate in questi ultimi tempi mi hanno invogliato a scrivere un contenuto differente dal solito… una lettera immaginaria scritta da un “vecchio” di Po, uno di quelli che avrebbe tanto da dire ma che devi aver la pazienza di ascoltare, abbandonanti al suo moto, come uno stampo buttato in corrente. Difficilmente un vecchio di Po prenderà mai una penna in mano per scrivere le sue memorie. Loro le raccontano solo a chi sa ascoltarli. E io ho provato a farlo. All’interno di questa lettera il protagonista si interroga sui possibili effetti futuri delle sue azioni, sulle cose che realmente lo hanno fatto star bene e sul saper accettare di essere arrivato all’ultima fermata di un bel viaggio.

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Lettera di un vecchio di Po alla Dea della caccia

***

Cara Diana,
ti scrivo sulla fiducia perché non sono uno che crede tanto ma la Caccia mi ha dato molto, perciò, perché non provare?

Non ti sto scrivendo per chiedere cose impossibili, non voglio primavere in meno sulle spalle, ne carnieri da favola. Parlando chiaramente, ho più di ottanta inverni sul groppone, ciò che dovevo vedere l’ho visto, l’ho amato e un amante quando ama qualcosa non ne ha bisogno grandi quantità ma delle piccolezze che fanno la differenza.

Ecco, se proprio ti devo chiedere qualcosa, vorrei poter far divertire quel cucciolone che ho nel serraglio. Si sarebbe meritato un cacciatore giovane, con i polmoni buoni e le gambe veloci. Sai, sono stato troppo ottimista quando l’ho scelto per portarlo a casa ma in settanta licenze l’occhio da matto che ha quel disgraziato l’ho visto poche volte e quelle poche volte mi ha fatto divertire. Quando lo guardo mi viene rabbia perché le mie gambe non vanno più, mi devo fermare a rifiatare troppo spesso ma vorrei poter tanto farlo godere come meriterebbe un soggetto del suo calibro. Chissà se solo fosse nato dieci anni fa… l’avrei tirato su come Dio comanda.

Ho l’amaro in bocca, quest’anno per la prima volta il fucile resta chiuso nell’armadio, ma non mi rammarico tanto per questo ma, piuttosto, perché le cose stanno cambiando, Il mio Po sta cambiando.

Ammiro molto quei ragazzi che, con l’occhio brillante di curiosità, mi chiedono di tutto su quel grande ammasso d’acqua chiamato Po, che tanto mi ha dato e insegnato. Pensa cara Diana, loro fanno ancora “il gioco” alle anatre e dovresti sentire come fischiano a bocca, sembrano delle anatre vere!

Ecco, pensando a loro, forse avrei un’altra richiesta perché quei due lì meritano di vivere un po’ di quel Po che ho visto io. Non ti chiedo marzaiole e codoni in primavera, nemmeno i branchi di tuffatori nelle mattine gelate d’inverno, ma qualche giornata di quelle lì, quelle che solo a vedere l’alba ti fan venire la pelle d’oca e ti rimangono disegnate nella memoria. Quei colori, quegli odori, come le aperture che tanto non mi facevano prendere sonno, che mi han fatto perdere amici ma mi han fatto capire che ciò che realmente volevo era esserci, con al fianco il mio fido Ausiliare e in spalla il mio Franchi del 20.

Tornando a quei ragazzi di cui ti parlavo prima, beh, loro sono il futuro, son “matti” come lo ero io, dormono poco e corrono tanto dietro ai cani, per i quali provano un Amore vero.

L’Amore vero come quello che provavo per la mia Donna. Oramai sono anni che non c’è più, la penso tanto ma non ci posso far nulla e ogni tanto avrei voglia di raggiungerla. Quando in testa arrivano quei pensieri lì vado a Po, nei miei posti. Prendo la mia barca, la mia Piccola, che ho costruito e che tengo come una bimba, parto e vado sull’Isola. Lì portavo mio figlio quando ancora era un bambino, sperando di fargli scattare la scintilla ma per fortuna non è così semplice.

Sull’isola c’era pieno di selvaggina e al tramonto vedevamo centinaia di fagiani senza buchi nel naso correre in brigate, volare e imbroccarsi. Le anatre abbondavano e io facevo vedere a mio figlio le loro partenze, le loro acrobazie, i loro voli, ma nonostante tutto questo ben di Dio del mio paradiso la scintilla che vedo brillare negli occhi di quei due giovani di cui ti parlavo prima non gliel’ho mai vista. Non è così semplice ammalarsi di caccia. Per fortuna! Ma tutto sommato sono contento lo stesso. Ero nel mio paradiso e ne ho dato un pezzettino a colui che più amo, insieme alla mia Donna.

Io sull’Isola ne ho fatte tante, ho goduto, ho bestemmiato, ho pianto di gioia e di dolore, ho seguito le impronte di fagiani e lepri nella polvere fino a scovarli, ho visto troppe albe e troppi tramonti. Dico che ne ho visti troppi perché forse ho esagerato. Forse è anche colpa mia se non è più tutto come una volta. Sono stato egoista, ho pensato a godere al fianco dei miei pochi amici e dei miei cani, senza pensare né agli altri né al futuro. In tutto ciò usavo la testa, risparmiavo le femmine a fine stagione, sparavo solo quando ero sicuro di dove sarebbe andata a finire la fucilata perché ho sempre avuto le immagini di quell’amico che per errore venne colpito in pieno viso da una rosata di pallini e mai avrei augurato un dolore simile al peggior nemico (quale dei tanti?).

Fin da quando cacciavo con la spingarda con i “vecchi di Po” ho sempre imparato a rispettare il Grande Fiume, a conoscerne le bellezze e le pericolosità delle piene. Amico/nemico che di amici me ne ha portato via più di qualcuno. Dovrei odiarlo ma se voglio star bene lui è la mia unica medicina. Son propri màt!

At salùd cara Diana… e grasie par tùt! T’mè fai propri divertì!

Un vecchio di Po

 Uno di quei due matti citati nella lettera, Nicholas, mio socio di caccia.

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nanni Rabbò
nanni Rabbò
10 mesi fa

Bravo Alessio,
complimenti una bellissima lettera ma perché vuoi già abbandonare la caccia? anch’io sono prossimo alle 80 primavere ma non mollo! Il mio compagno di caccia ne ha 90! e non molla nemmeno lui!
Se non puoi camminare tanto pazienza, fai la caccia da capanno, un comodo seggiolino e vai!
tanti saluti e non mollare!

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